La Fiat dovrebbe prendere una decisione sulla fabbrica di Pomigliano entro il 21 luglio, giorno in cui il consiglio di amministrazione si riunirà per approvare la trimestrale. L’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne è rientrato mercoledì 30 giugno  in Italia per restarci alcune settimane. L’ultima sua parola è stata scritta nel comunicato del 23 giugno, quando l’azienda ha preso atto dell’esito del voto del referendum tra i lavoratori di Pomigliano e ha fatto sapere di volere andare avanti con non specificati «progetti futuri». Un modo per lasciare la porta aperta sia ai quattro sindacati che hanno firmato l’offerta aziendale, sia a se stessa nel caso il largo no che non ha riguardato la sola Fiom fosse ritenuto, alla fine, insormontabile.
Dall’assemblea della Fiom , che giovedì 1 luglio ha riunito a Pomigliano 700 delegate e delegati del gruppo torinese e delle altre aziende del Mezzogiorno, è partito un nuovo messaggio per l’azienda: pronti a trattare ancora “se la Fiat rispetta le leggi”. Nel frattempo, il ritorno di Marchionne in Italia ha scatenato i firmatari della proposta, i vari Angeletti e Bonanni che  hanno chiesto a gran voce alla Fiat di fissare un incontro con loro. Chiara la preoccupazione: hanno detto sì e Marchionne è sparito per una settimana, senza degnar loro di un’attenzione. Anche il ministro del welfare, Maurizio Sacconi, appare piuttosto preoccupato per la piega che ha preso la vertenza. Rispondendo alla Camera, Sacconi ha ribadito senza convinzione che «il governo è disponibile a convocare un tavolo in via sussidiaria, e cioè lo farà solo se le parti firmatarie lo richiederanno. A ora, non è pervenuta nessuna richiesta».
Ci vuole tutta l’immaginazione di Sacconi per credere che Marchionne chieda un «tavolo» a questo governo, per una vertenza che lui considera strettamente aziendale e nulla più e dopo la totale assenza dell’esecutivo in materia di politica industriale. Nel comunicato del 23 luglio, la linea Fiat è netta: pronti a riprendere un dialogo solo con chi ci sta.
Niente Fiom, dunque, anche se in contatti informali che tra le parti non si sono mai interrotti del tutto, continuano a esserci forti pressioni sulla Cgil affinché riconduca la Fiom a una trattativa. Che, prima dell’assemblea di Pomigliano di giovedì, qualcuno avrebbe voluto che si traducessero in una sorta di firma tecnica dell’accordo da parte del sindacato dei metalmeccanici, con l’esclusione dei punti più controversi. Una soluzione che non è una soluzione: perché aprirebbe un conflitto dentro la Cgil e un altro direttamente dentro la fabbrica.
Marchionne è tornato dagli Stati Uniti con tutto un altro mondo in testa, «dal giorno alla notte» come dicono i suoi collaboratori. Alla controllata Chrysler, i sindacati hanno firmato giusto un anno fa un accordo che cancella il diritto di scioperare anche per un’ora fino al 2014. Nell’ultimo congresso della Uaw (l’associazione dei metalmeccanici americani), tenutosi a Detroit poche settimane fa, un sindacalista ha preso la parola per elogiare il sistema produttivo (Wcm) portato da Marchionne nelle fabbriche della Chrysler, lo stesso che la Fiat vuole imporre a Pomigliano. E negli Stati Uniti per il manager è luna di miele pure con la stampa, che ha accolto piuttosto positivamente (a leggere i resoconti) la nuova Jeep Grand Cherokee, icona del marchio e primo modello dell’era torinese.
Marchionne, insomma, è tornato con umori che potrebbero non aiutarlo nella visione delle cose italiane. Per battere un colpo, pare che aspetti un segnale, «l’importante è che non ne arrivi uno troppo negativo», chiosa un altro dei suoi collaboratori. Un segnale apparentemente buono per il destino di Pomigliano è arrivato dalla Polonia: secondo la stampa polacca, la Fiat ha avviato le procedure per chiedere al governo polacco l’aiuto pubblico per il cambio delle linee a Tychy. Da dove Marchionne prevede (ancora) di trasferire la Panda a Pomigliano per portare lì quella della Lancia Y, via da Termini Imerese alla fine del 2011 con conseguente chiusura della fabbrica siciliana. Varsavia deciderà entro settembre. Ma se Pomigliano non cede, Marchionne è intenzionato a trasferire nello stabilimento campano un’altra linea, quasi certamente quella della Y interrompendo le richieste di sussidi avviate in questi giorni. Gli obiettivi di produzione della Y sono meno della metà di quelli della Panda: vorrebbe dire il licenziamento di 2.000/2.500 persone. Un disastro sociale, per una morte lenta di Pomigliano. O, di minaccia in minaccia a sentire le parole di un altro uomo Fiat, «diventerebbe come Arese, una candela destinata a spegnersi».

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