L’articolo determinativo qualifica ed esclude, non c’è niente da fare, tant’è che nel latino classico non esisteva, la specificazione era di competenza dei casi. La Ferrari LaFerrari di sicuro è unica: per un pugno di euro, un milione più le tasse, non riesci nemmeno più a comprarla perché i 499 esemplari astutamente previsti sarebbero già sold out.
“Abbiamo voluto chiamarla così – ha detto Luca Cordero di Montezemolo – perché è l’espressione massima delle eccellenze in azienda”. Non è una gran spiegazione, è la verità dal punto di vista del prodotto finale (tutto interno al Cavallino partendo dal design), ma come argomento è un po’ trito sul piano della comunicazione. Personalmente, il nome LaFerrari suona piuttosto Luigi XV, “après moi le déluge”, e sappiamo come lì è andata a finire. O tornando al latino, LaFerrari sa di nomen omen, il suo nome è un presagio, dunque fa venire voglia di incrociare le dita perché così chiamata sembra l’ultima.
Meno male che più in là c’è Flavio Manzoni, il capo designer strappato qualche anno fa alla corte imperiale tedesca di Volkswagen (Walter de’ Silva glielo perdonerà mai?), che dà speranze. Sul nome fa capire a Quattroruote che la decisione non è stata sua e che “La” non è ultimativo, “qui c’è un nuovo linguaggio per una contaminazione della gamma futura”.
Sto per arrendermi a un nome che non mi convince quando incrocio sul solo stand perennemente affollato del Salone di Ginevra Lapo Elkann, azionista di maggioranza del gruppo Fiat che con Manzoni collabora. “LaFerrari? Sulla scelta del nome non c‘entro”, anche lui subito mani avanti, ne ero sicuro. “Comunque – mi dice Lapo – non è il nome il punto di forza di quest’auto, ma che sia nata da un grandissimo lavoro di squadra. Un vero gioiello”.
ps Aggiorno al 23 marzo con questa intervista di Montezemolo al Financial Times. In cui del nome non parla né Ft né lo stesso Montezemolo
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