I car designer sono gente loquace, di quelli che non vedono l’ora di raccontarti i loro progetti, di spiegarti perché hanno fatto un frontale che sembra sorridere e una coda che ricorda un coupé. Cose spesso già sentite, ma ogni volta sembra che abbiano reinventato l’automobile.

Sfugge a questa voglia di comunicare uno dei più acclamati creativi del momento, il tedesco Peter Schreyer, artefice della trasformazione del design Kia da anonima estetica globale a stile accattivante e attualissimo, riconosciuto anche da concorrenti del calibro del megagruppo Volkswagen. Uno talmente bravo che i coreani lo hanno prima gratificato della carica di President, e poi lo hanno promosso a capo supremo di tutto il design del gruppo, dove sovrintende ora ai marchi Hyundai e Kia.

Difficile però farsi spiegare da lui il segreto di tanto successo. Nelle interviste che puntualmente gli uffici stampa gli organizzano rimane sempre abbottonato, compassato nel suo look total black a metà tra ministro del culto e dj alla moda, cortese con l’interlocutore ma teutonico nella sua imperturbabile sobrietà.

Che la cultura del design non gli manchi lo si percepisce subito, anche senza aver letto il curriculum che ne dichiara la laurea in industral design, il master al Royal College of Art di Londra e gli anni passati alla guida del design Audi e Volkswagen. Il Bauhaus è tra le sue dottrine e si capisce presto che è inutile tentare di farlo parlare di specifici modelli di auto, lui è uomo dei massimi sistemi. Così, quando afferma che il design Kia è paragonabile a un cristallo di ghiaccio e quello Hyundai a una goccia d’acqua, ti viene da pensare che la bellissima immagine abbia dovuto coniarla per far contenti quelli della comunicazione, preoccupati di tener distinti i due marchi. Ma non sperare nell’aneddoto, nel racconto di vita vissuta.

A parlare per lui sono i risultati e il lavoro dei suoi team cui sovrintende in tre continenti, ma non ama spiegare troppo come e perché tutto funzioni così bene. Meglio i fatti delle parole: i coreani possono essere più che soddisfatti e orgogliosi di aver messo l’uomo giusto al posto giusto.

Chissà se un domani, quando si ritirerà dall’attività, diventerà loquace come tutti i pensionati e rivelerà qualcosa di più di questi anni prolifici, scoprendo un lato umano e professionale oggi secretato. E magari lo incontreremo vestito di chiaro, chi può dirlo?

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