Ci hanno provato ancora una volta i delegati accorsi la scorsa settimana in Delaware per la 58ma assemblea generale degli azionisti della Ford, e per l’ennesima volta i loro attacchi sono stati respinti. Il controllo della società resta nelle mani degli eredi del fondatore, Henry Ford.

Quando la società fece il suo debutto a Wall Street, dieci anni dopo la morte del capostipite, la famiglia decise di riservare per sé una quota di azioni speciali di ‘classe B’ che incorporano uno speciale diritto di voto, pari a sedici voti per ogni cedola. In termini assoluti il pacchetto è un’esigua minoranza, ma in termini decisionali, equivale al 40% del voto, e quindi al controllo reale dell’azienda. Conservare questo privilegio nel tempo non è stato facile.

L’interesse dei membri della famiglia per l’industria si è affievolito nel tempo, e quando il vento della crisi è venuto a erodere il valore dello stock, la tentazione di incassare e diluire il tesoro di casa è stata forte per molti tra loro. Se è il disegno ha tenuto nell’ultimo decennio, è solo perché il rampollo Bill si è fatto avanti di volta in volta con l’offerta di acquistare le azioni in vendita, fino a diventare il maggiore azionista della Ford con 6,7 milioni di azioni di classe B e 26,3 milioni di ordinarie. Dall’altra parte il privilegio statutario è stato aggredito a più riprese dall’assemblea degli azionisti, specialmente quando le cose andavano male come sette anni fa anni fa prima dell’arrivo di Alan Mulally al timone, e gli investitori credevano che la mala sorte dipendesse dal disamore della famiglia regnante. A più riprese hanno chiesto l’abolizione del patto di ferro che li esclude dalla lotta per il potere. Non c’è dubbio che una Ford liberata dal giogo diventerebbe immediatamente più appetibile sui mercati borsistici, e che la lotta per il suo controllo porterebbe nuovo valore ai possessori delle azioni.

Eppure la famiglia l’ha spuntata ancora una volta a Wilmington, sede legale dell’azienda e luogo d’incontro per l’adunata. Il voto sull’abolizione della clausola ha riscosso il 33,4%  dei pareri dei convenuti, e la richiesta è stata archiviata. Ma la quota del consenso, seppure ancora una volta minoritaria, continua a salire. Da una parte è appoggiata dai grandi gruppi di investimento che fiutano il possibile affare; dall’altra è avversata dagli investitori istituzionali che hanno bisogni di ritorni sicuri e affidabili, e temono le avventure. Se l’onda rivoluzionaria che si è manifestata negli ultimi anni continuerà a crescere con passo costante, la corona degli ultimi regnanti nel mondo dell’automobile americana potrebbe alla fine capitolare.

Commenti
Lascia un commento