La Oldsmobile Rocket 98 di Fidel Castro non si può comprare. E nemmeno la Chevrolet Bel Air series 1600 di Che Guevara. Il trapaso, il pezzo di carta che a Cuba  fa da passaggio di proprietà, per loro non è previsto. Per il resto, pare circa 60.000 vetture americane pre-rivoluzione del 1959, il mercato ora è aperto.  Si attende a giorni il regolamento del governo guidato da Raul Castro, ma la liberalizzazione è stata decisa.

Nel 2014, chiunque a Cuba potrà comprare un’auto nuova o usata, Plymouth, Chrysler, Volga, Lada o anche quel che finora non è mai arrivato. Non è la prima necessità dei cubani, né la maggior parte della gente ha soldi in tasca per un acquisto comunque oneroso (per non parlare della benzina), ma questa è un’altra storia.

La notizia, diffusa dal Granma organo ufficiale del paese, ha fatto il giro del mondo e la riassume  qui il Corsera traducendo mi sembra un servizio del Detroit News.  Chiunque ne abbia scritto, ha sottolineato come questo atto del governo potrebbe mettere a rischio la sopravvivenza di quel che è oggi il museo dell’auto statunitense più grande del mondo.  Perché i cubani passerebbero volentieri a macchine più moderne e più efficienti, mettendo da parte i modelli Frankstein circolanti. Grazie a pezzi costruiti sessanta anni fa a Detroit e rimontati nel tempo con altri provenienti dall’Urss, oltre a quelli fatti ingegnosamente in casa da bravi meccanici cubani.

Qualcosa di simile l’ho visto e in parte toccato con mano quando sono stato a Cuba, una vita fa. All’Avana si incontrava il valoroso compagno della Cgil che in Italia aveva mollato tutto per lì occuparsi più o meno di turismo, “scusa ma vado a giocare a pallone con i soldati sovietici, mi danno un passaggio”, il meccanico che spiegava come fosse impossibile a un turista per caso comprare una Chevy del ’58 o capire i suoi raccordi  sotto un cofano di una Cadillac lungo una quaresima, eppoi dei numeri che lasciavano l’amaro in bocca.

Tra il 1950 e il 1958, a Cuba il parco auto circolante era cresciuto del 13 per cento, stimato tra 70.000 e 167.000 unità in un vecchio articolo de El Automòvil de Cuba. Ma questo accadeva mentre il 30 per cento dei cubani adulti era analfabeta e un altro 60 leggeva a malapena. Poi vinse la rivoluzione, Fidel Castro annunciò in un discorso del settembre del 1959 che non si poteva andare avanti come l’anno precedente, “quando sono stati spesi 30 milioni di pesos per auto e accessori e solo 5 per trattori, in un paese costretto a importare riso e altri alimenti”.

Nell’autunno del 1959, il governo rivoluzionario chiude un’epoca lasciandoci quasi un fermo immagine di questo parco circolante: vengono applicate pesanti restrizioni all’import di vetture dal Nordamerica,  sull’isola arriveranno solo 3.264 auto da Detroit, e tutte nel primo semestre.  A sbarcare per ultime, delle Oldsmobile 1960 model year e un pugno di Chevrolet.

L’epitaffio che mi stringe il cuore  lo leggo però alla fine del millennio scorso, inciampando su un servizio da Cuba dell’Economist: “Old cars never die”, le vecchie auto non muoiono mai.

Commenti
    Avatar autore

    Attenzione compagni collezionisti!
    I cinquantacinque anni che hanno seguito la rivoluzione cubana hanno trasformato l’isola in un enorme bazar dei sogni e delle occasioni perdute. Un richiamo di forza romantica irresistibile, indipendentemente dalla collocazione del cuore nel nostro petto. A questo mercato a cielo aperto delle buone occasioni e delle buone intenzioni a prezzo scontato abbiamo attinto tutti noi visitatori, ammaliati dalle tinte crepuscolari della memoria e dall’immanenza del sogno.
    Ma la ruggine del tempo nel frattempo si e’ depositata in parti uguali sull’immagine del Che e sulla carrozzeria delle favolose portaerei su ruote che gli americani si erano lasciati dietro. Giunti e assali hanno finito per cedere sulle buche rivoluzionarie del Malecon; le trasmissioni rotte, le pelli dei sedili logore. E dove non ha potuto il tempo e’ intervenuta la necessita’. I Marielitos che lasciavano mamma e sorelle a casa sulla scia di Miami nell’83 avevano spesso in borsa quell’introvabile carburatore Stromberg o Carter che servisse da viatico per la nuova vita nella terra de los gringos. Chevy, Packard e Buick sono state saccheggiate fino all’ultimo bullone, e in un paese che non concedeva licenze di officina meccanica che non fossero direttamente gestite dallo stato, sono fioriti i garage dell’arreglo, l’arte di arrangiarsi. Imprese clandestine e miracolose, capaci di sostituire le cromature introvabili delle pinne di una Roadmaster usando la latta dei contenitori di ‘refresco’, la soda rivoluzionaria.
    Il frutto di questa indomabile vitalità creativa che ha permesso ai cubani di sopravvivere alla penuria di vitamina D, di passaporti e di radiatori, ha un enorme valore storico e da solo giustificherebbe l’acquisto di una delle carcasse ora in vendita all’Avana. Ma se qualcuno si aspetta di comperare l’ultimo pezzo di sogno incontaminato e originale, rischia
    di risvegliarsi con la stessa dolorosa sorpresa che ha accompagnato la vita di tanti cubani nell’ultimo mezzo secolo.

Lascia un commento