Gli operai della fabbrica Volkswagen di Chattanooga in Tennessee non vogliono una rappresentanza sindacale. Lo hanno detto con un voto interno questa settimana (l’89% ha votato, 712 per il no, 626 per il si), al termine di una infuocata campagna di sensibilizzazione che ha avuto toni drammatici, e che ha finito per fare del voto una sorta di referendum sul futuro dell’associazionismo in fabbrica.

Ci sono molti modi per commentare quello che è accaduto, a seconda dell’angolo di osservazione. Io propongo una bisettrice che consideri argomenti degni di nota a partire da ognuno di essi.

Si è votato nel sud, nel polo industriale nato 25 anni fa con i transplant cacciavite, dove i giapponesi aggiravano i limiti posti dal governo all’importazione, assemblando auto americane con parti tutte giapponesi. La stessa genesi delle fabbriche ha avuto quindi una connotazione antagonista rispetto a Detroit e alla sua cultura industriale.

Alabama, Tennessee, Kentucky, Sud Carolina, Missouri, sono stati conservatori, dove l’odio contro il nord progressista e garantista non si è mai completamente assopito in seguito alla guerra civile. Venti anni fa il tracollo delle acciaierie e poi del tessile, aveva decimato l’occupazione e ridotto al minimo le aspettative dei lavoratori.

La loro salvezza è stato il fatto che Toyota, Honda e Nissan erano coscienti di operare con la spada sul collo di una possibile ondata xenofobica, già manifestatasi nella rust belt, la cintura della ruggine come viene chiamata la fascia industriale del nord del paese, che avrebbe potuto spazzarli via se si fossero comportati da coloni sfruttatori. Le nuove fabbriche hanno ridotto le paghe orarie e spinto la produttività verso mete fino ad allora inedite, ma nel complesso il peso netto del contratto firmato a New Smyrna Tennessee o a Georgetown Kentucky non è mai stato lontano anni luce da quello firmato a Flint, Michigan.

La portavoce della direzione della Uaw a Detroit, Michele Martin, tempo fa parlando delle condizioni di vita di chi lavora in una fabbrica del polo meridionale, mi ha descritto l’immagine della lavatrice sotto il portico di casa. Un emblema dell’industrializzazione, ma anche il segno dell’emancipazione dal lavoro manuale domestico, che le famiglie operaie ostentano con orgoglio a fianco della sedia a dondolo sulla soglia delle proprie abitazioni.

Sindacalizzare una delle fabbriche del sud è per la Uaw un presupposto vitale per la sopravvivenza, dopo le emorragie che l’hanno colpita al nord nell’ultimo decennio. Infatti Chattanooga è l’ultimo di una serie di tentativi mai interrotti e tutti fallimentari. Il presidente uscente Bob King era così determinato a incassare il successo, che ha accettato di includere una clausola nell’accordo per la quale la Uaw si impegnava a mantenere nella fabbrica della Volkswagen, e “dove possibile aumentare” il vantaggio competitivo dei costi di produzione che l’impianto vanta nei confronti della concorrenza. Certamente una posizione strategica, ma di dubbia presa su chi ambisce a lottare per migliori condizioni di lavoro.

Un’altra anomalia del voto è che la rappresentanza sindacale era sollecitata dallo stesso Frank Fisher, ceo chairman dell’impianto, con la speranza di replicare il modello tedesco del consiglio di fabbrica aperto alla partecipazione del sindacato, che non ha precedenti negli Usa.

Intorno alla fabbrica si è combattuta una battaglia di alto valore simbolico, nella quale i politici repubblicani hanno serrato le fila e pronunciato anatemi catastrofici in caso di successo della Uaw. La vittoria del no è venduta oggi come una sconfitta della cultura autolesionista delle union che affossano le aziende pur di acquisire potere contrattuale. La realtà è che il Tennessee è lo stato americano il cui il sindacato, ad esclusione del settore automobilistico, sta crescendo al passo più rapido di tutti gli stati dell’Unione.

Il sud non è più terra bruciata dalla disoccupazione, con operai senza qualifica buoni solo per avvitare pezzi costruiti in Giappone. Pullula oggi di esperti diplomati dalle tante scuole tecniche, il cui impiego è sempre più spesso insidiato dal ricorso massiccio che molte fabbriche fanno all’utilizzo di lavoratori temporanei, attinti nell’indotto dei fornitori, dove spesso si lavora con una paga che non solleva una famiglia oltre la soglia della povertà.  Pensare che il sindacato, o altre forme di protesta contro questo sistema possano essere tenuti alla porta in futuro, è pura illusione.

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