Walter de Silva ha ricevuto sabato scorso una laurea honoris causa dall’università di Bologna. Io stavo al mare, ma curioso di sapere che aria tirava intorno al creativo a capo del design dell’impero Volkswagen, ho fatto qualche telefonata qua e là. Beh, non ci crederete, ma mi è arrivato una specie di mattinale che vi invito a leggere fino all’ultima riga.
Segnalata all’autorità giudiziaria competente un’adunata sediziosa di ex dirigenti Alfa Romeo incontratisi a Bologna il 7 giugno utilizzando la copertura del conferimento della laurea ad honorem in design a Walter Maria de Silva dall’ateneo felsineo.
A fianco del creativo 63enne nato a Lecco che ormai da anni dirige il design del gruppo Volkswagen i suoi due bracci destri della stagione d’oro del Centro Stile del Biscione ad Arese: Mario Favilla (oggi pensionato) e Wolfgang Egger (da poco paracadutato dalla Germania a guidare il design dell’Italdesign Giugiaro a Torino).
Notati anche l’ex direttore tecnico dell’Alfa Stefano Jacoponi, ora al vertice di uno studio di progettazione meccanica (buon sangue non mente) e chi fece della 156 quella mirabilia assoluta in termini di tenuta di strada, Bruno Cena (oggi nonno full-time). Presente anche un protagonista dell’ultima stagione dell’Alfa a trazione anteriore, Luca De Meo, papà della MiTo, oggi direttore vendite e marketing mondo dell’Audi.
De Meo era volato a Bologna dalla Germania proprio per celebrare la laurea a De Silva, un evento cui non hanno voluto mancare né l’amministratore delegato del gruppo Vw Martin Winterkorn né il direttore tecnico Ulrich Hackenberg.
Da notare che l’elemento scatenante che convinse De Silva ormai 15 anni fa a lasciare l’Alfa Romeo è che nel suo futuro non ci sarebbe stato spazio per nulla più che continuare a fare il direttore del Centro Stile Alfa Romeo. Oggi il “transfuga” comanda il design di 12 marche con 1500 persone che operano in 19 centri stile sparsi in tutto il mondo. Quindi era probabilmente in grado di fare qualcosa di più. E lo fa con l’Alfa nel cuore.
Caro Paternò, ti piace infilare il coltello nella piaga! Fortunatamente 15 anni fa Marchionne non c’era ancora, ma c’era però Cantarella che in quel tempo veniva osannato come il manager illuminato dell’auto. facendo le debite proporzioni quasi il Marchionne degli anni novanta.
La storia di Da Silva è parabola perfetta del “tafazzismo” applicato all’Alfa Romeo, cambiano le persone, cambiano i tempi, ma su Alfa Romeo continua l’accanimento terapeutico. Ma questa volta non si tratta di accanimento terapeutico per mantenere in vita un marchio, ma di accanimento per farlo morire. E sull’adunata sediziosa di ex Alfisti posso dire che vale l’assioma “sono i migliori che se ne vanno”: su quelli che restano stendiamo un pietoso velo.