La Suzuki è riuscita a divorziare dalla Volkswagen dopo quasi quattro anni di battaglia legale. Ora il costruttore giapponese è libero di cercarsi un altro partner e Marchionne potrebbe già essersi avventurato sotto il balcone, pronto con una avance per la sua FCA. Per un fidanzamento di interesse, credo utile a entrambi.

Suzuki porta in dote una produzione di circa 3 milioni di veicoli all’anno, un aumento del 7% delle vendite nell’anno fiscale passato, una forte presenza asiatica, soprattutto in India, considerato il mercato del futuro. FCA porta in dote un grosso debito ma ha bisogno di una terza gamba proprio in Asia, oltre che di maggiori economie di scala.

Una corte inglese, cui i costruttori giapponese e tedesco avevano affidato l’arbitrato nel novembre del 2011, ha sancito che Volkswagen debba rivendere alla Suzuki o a “terza parte” in accordo con Suzuki il 19,9% delle azioni giap nel suo portafoglio, pagate nel gennaio del 2010 ben 1,7 miliardi di euro. Wolfsburg si riserva di chiedere i danni in un eventuale nuovo atto giudiziario.

Un matrimonio finito malissimo quasi prima di essere consumato nel settembre del 2011, quando il boss Osama Suzuki (oggi ottantacinquenne, ha appena ceduto il volante ma fino a un certo punto al figlio più grande Toshihiro) dichiarò in sostanza che i tedeschi volevano fare i padroni a casa sua.

Parole che ricordano quelle dell’Avvocato a inizio millennio,  quando ritirò dal tavolo della trattativa con Daimler la sua Fiat perché Stoccarda avrebbe voluto comandare. Le storie spesso si ripetono. Marchionne, laureato in filosofia, ha studiato storia. Sarebbe bene ripassasse per essere il più charmant possibile, prima di scrivere una mail a Suzuki.

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