Ibrido plug-in? Lasciamolo ai tedeschi. Non dice proprio così Alain Uyttenhoven, numero uno di Lexus Europe incontrato alla prima della (bella) LC 500h, ma il senso del discorso è questo. “Siamo partiti con la RX nel 2005 molto prima dei concorrenti e ora vendiamo il 95% delle Lexus con tecnologia ibrida, non abbiamo bisogno del plug-in per ridurre le emissioni di CO2 della nostra gamma”.

L’attacco di Uyttenhoven non finisce qui: “Se non si ha la possibilità di ricaricare la batteria, il sistema ibrido plug-in è molto meno efficiente di un full hybrid come quello Lexus”. La stoccata finale ai tedeschi arriva poi sul diesel: “E’ difficile che abbia un futuro soprattutto nei centri urbani, dove i limiti sul particolato sono superati quotidianamente e in alcune città come Londra e Parigi che hanno già annunciato limitazioni alla circolazione dei veicoli a gasolio”.

I giapponesi non hanno dunque nessuna intenzione di inseguire Audi, Bmw e Mercedes nella corsa all’ibrido ricaricabile. Una strategia condivisibile considerando che neppure da parte dei tedeschi sembra esserci una reale convinzione, essendo l’ibrido plug-in sviluppato solo per compiacere alle normative: in attesa dei nuovi cicli di omologazione (ostacolati indovinate da chi?) quei 40 km teorici in elettrico fanno scendere i consumi di carburante e di emissioni verso valori surreali e impossibili da raggiungere in qualsiasi uso normale dell’auto. Tanto più se di colonnine per ricaricare l’ibrida plug-in (e le elettriche) in giro continuano a vedersene poche.

Una mancanza di impegno da parte dei governi che però deve preoccupare anche la stessa Lexus, pronta a lanciare entro il 2020 una berlina a idrogeno derivata dalla LF-FC vista allo scorso Tokyo Motor Show. Nella speranza di essere smentito, che sia energia elettrica o idrogeno, è sempre meglio diffidare della politica.

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