In Cina e altrove, quando oggi si parla di rivoluzione cinese, non si pensa più a quella culturale di Mao ma alla rivoluzione economica che ha proiettato la nazione più popolata del mondo al ruolo di gigante dell’economia planetaria, capace di influenzare, nel bene e nel male, anche l’andamento del Pil di paesi dislocati su altri continenti. Una capacità produttiva che ha generato una disponibilità di capitali che, tra l’altro, ha reso la Cina il primo mercato mondiale dell’automobile.

Dagli imprenditori più facoltosi fino ai gradini intermedi della popolazione locale, l’acquisto dell’auto è diventato una necessità e un vanto, un riflesso del mutamento dei tempi che ricorda, su scala più ampia, il senso dell’acquisto dell’automobile nell’Italia della ripresa economica. Una ventata di occidente che ha colpito i nuovi ricchi che, amanti del bello e del lusso, hanno alleggerito i loro portafogli facendo sorridere i conti di Ferrari, Mercedes e Bmw come di altri brand del lusso. Brand che ora stanno subendo qualche contraccolpo (come in altri settori merceologici) a causa del rallentamento dell’economia cinese e della stretta governativa sula corruzione.

Per certi versi, la stessa dinamica di orientamento ad ovest si sta replicando nel mondo del calcio “rosso”. Incredibile a dirsi per un paese che per vent’anni non è stato iscritto alla Fifa (1958-1979) e che ha all’attivo una sola partecipazione alla fase finale dei Mondiali (l’edizione 2002 nippo-coreana, quando raccolse tre sconfitte senza segnare nemmeno una rete).

Per chi segue le notizie di calciomercato, non è una novità l’approdo nel campionato cinese di giocatori fino a poco tempo fa protagonisti in Champions League: Lavezzi, Gervinho, Jackson Martinez, Ramires sono figurine dell’album Panini (ammesso che esista qualcosa di analogo a Pechino e dintorni) che si affiancano a quelle di altri calciatori del calibro di Guarin, Demba Ba e una nutrita serie di brasiliani, tra i quali spicca Diego Tardelli.

La disponibilità di capitali investiti da sponsor e proprietari di club (170 milioni di euro solo nell’ultima sessione di calciomercato) sta elevando velocemente il valore tecnico del campionato, a livelli inimmaginabili fino a poco tempo fa. Non è solo l’amore per il bello che spinge i paperoni cinesi a spendere per il best in class che si può acquistare al calciomercato come in un salone di automobili.

L’egida di un presidente come Xi Jinping, appassionato di calcio al punto che lo scorso ottobre è stato ospitato dal Manchester City per studiarne la struttura societaria e gli investimenti nel settore giovanile, nasconde l’intenzione di far crescere il movimento e portarlo finalmente ad avere una nazionale che possa partecipare ai Mondiali con chanches di competitività. Per portare, anche nel mondo del calcio, la Cina ad essere protagonista a livello planetario.

Al di là, comunque, delle intenzioni politiche, per i figli di Mao più facoltosi possedere una squadra di calcio risponde alle stesse esigenze che li spingono a comprare un’auto di lusso: esternare uno status symbol, godere di un bene e divertirsi. Un Gervinho o una Ferrari? Entrambi, please.

 

Lascia un commento