Lo scorso mese di gennaio l’Udinese Calcio ha inaugurato il suo nuovo stadio di proprietà, anche se, tecnicamente, di proprietà effettiva non si può parlare, dal momento che l’accordo col Comune prevede la concessione della struttura per novantanove anni. Di fatto, però, la società bianconera utilizzerà lo stadio come se fosse suo, godendo dei proventi legati non solo alla vendita dei biglietti e degli abbonamenti annuali ma anche quelli derivanti dalle attività sviluppate tramite aree hospitality, dieci skybox destinati alle aziende,  ristoranti, palestre e altre opportunità di svago gestite nell’area di ventimila metri quadrati di cui lo stadio costituisce il fulcro.

Un modello di sviluppo dei fatturati delle società che nei paesi calcisticamente più avanzati è già a regime da diversi anni e che da noi fatica ad imporsi per il difficile rapporto tra i privati e le regole kafkiane della burocrazia. Un modello che a Udine ha trovato il suo naturale corollario anche nella definizione del nuovo nome con cui battezzare lo stadio, legato a quei naming rights che poco piacciono ai tifosi e fanno fare salti di gioia agli azionisti delle società: il main sponsor, Dacia, garantirà alla famiglia Pozzo un gettito di  cinquecentomila euro all’anno per 5 anni.

Abbiamo già parlato in passato dei motivi di marketing che spingono le case automobilistiche ad abbinare i propri brand alle squadre di calcio: target analoghi, visibilità trasversale a costi convenienti, immagine dinamica. In più, la società bianconera e la casa del gruppo Renault condividono ulteriori valori: generosità, concretezza, passione, capacità innovativa e ottimizzazione delle risorse disponibili.

Tutto molto bello e funzionale: uno stadio da venticinquemila posti a cinque metri e mezzo dal terreno di gioco, iniziative per le famiglie, wifi gratuito, comodità impossibili da avere in quasi tutti gli altri stadi italiani. Anche se i tifosi più radicali si sentono traditi: il vecchio stadio Friuli, almeno nel nome, veniva percepito con un rapporto più emblematico  col territorio, meno legato alle dinamiche commerciali che sporcano la passione e traducono i tifosi in clienti.

L’Udinese ci ha pensato, giungendo a un compromesso che forse non accontenta nessuno, ribattezzando il nuovo stadio Friuli Dacia Arena. Highbury ed Emirates Stadium, Olympiastadion e Allianz Arena, Friuli e Dacia, sentimento e calcoli finanziari: il mondo del pallone sembra sempre più un affare per masterizzati in business  administration. Ma senza il rispetto per la passione del suo pubblico è destinato a fallire.

Lascia un commento