Potenza dei simboli: il 18 marzo la Gläserne Manufaktur di Dresda, il mausoleo trasparente voluto da Ferdinand Piëch per produrre la Volkswagen Phaeton e celebrare il mito della qualità tedesca, ha sfornato l’ultimo esemplare di quella che doveva essere l’ammiraglia del popolo. Dopo 14 anni di attività – a dire il vero non proprio gloriosi, visti i volumi – se ne va un altro protagonista di un’era che ha plasmato l’universo automobilistico degli ultimi vent’anni e che oggi, ad appena sei mesi dal Dieselgate e a undici dal divorzio tra Piëch e Martin Winterkorn, sembra appartenere a ricordi lontani.

La fabbrica di vetro chiuderà il 29 marzo per dieci giorni e l’8 aprile rinascerà come provvisorio “new Volkswagen brand showcase for electromobility and digitalization“, recita il comunicato stampa accompagnato dalla foto di due bambini intenti a giocare con dei monocicli che alimentano una pista in miniatura. A voler insistere sui simboli e gli “indizi visivi” – format che rubo per un attimo a Filippo Ceccarelli e al Venerdì di Repubblica – fa sorridere l’enorme scritta trasparente e-Mobilität in primo piano, davanti al plastico delle quattro ciminiere di Wolfsburg; mausoleo anche questo, ma di un passato che ancora oggi provoca qualche timore reverenziale.

Tutto sta nella trasparenza: quella di ieri, della fabbrica di vetro, della scritta che lascia vedere alle spalle le ciminiere; quella di oggi, che il gruppo tedesco rivendica – applica? – per uscire dallo scandalo dei diesel truccati. Domani, invece, i dati di vendita europei e il post di Alessandro – che le mie chiacchierate con altri manager confermano appieno – sembrano dire che tutto è destinato a scorrere, come l’acqua trasparente. Domani, poi, restano la precarietà della vetrina dedicata alla mobilità elettrica e delle dichiarazioni del comunicato stampa, che assicurano il reimpiego dei lavoratori di Dresda e il ritorno a un futuro produttivo per lo stabilimento. Trasparente.

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