Dopo quello del Qatar, anche il fondo sovrano della Norvegia, il più importante del mondo, ha deciso di mostrare i muscoli ed ha annunciato che farà causa a Volkswagen, unendosi ad una delle ‘class action’ già in atto in Germania. Il fondo è il quarto azionista del gruppo (detiene l’1.64% delle azioni con diritto di voto), ma non ha alcun rappresentante nel Supervisory Board.

Quando scoppiò lo scandalo delle emissioni, fummo gli unici a scrivere che Volkswagen doveva dare un forte segnale di discontinuità con le dimissioni dell’intero Management Board, e da molti tale auspicio fu ritenuto eccessivo. A distanza di mesi, tuttavia, Peter Johnsen, il capo della Norges Bank Investment che gestisce il fondo, ha dichiarato al Financial Times che “Volkswagen management should have known about the manipulative engine-management devices“, segno che non ha creduto alla versione che si trattasse di un’iniziativa di alcuni impiegati terrorizzati di dover rivelare ai vertici la verità.

In passato, il fondo norvegese aveva già espresso le sue perplessità circa la struttura di corporate governance di Volkswagen, che, come abbiamo detto più volte, rappresenta in ultima analisi la ‘root cause’ dei problemi del gruppo, e si è finora dimostrata inadeguata a gestire la crisi innescata dal ‘dieselgate’. A questo proposito, Johnsen ha aggiunto: “We see little evidence of governance reform at Volkswagen“.

Nel frattempo, mentre continua ad infuriare la polemica sulla ‘compensation’ dei top manager, il marchio Volkswagen continua a perdere terreno in molti mercati (con l’esclusione dell’Europa dove, soprattutto in Germania, le vendite vengono sostenute con robusti incentivi), trascinando al ribasso le consegne di autovetture ai clienti del gruppo che, a livello globale, nei primi quattro mesi, sono inferiori allo scorso anno.

Il responsabile delle vendite del marchio Volkswagen, Juergen Stackmann, punta sul lancio del nuovo Tiguan per ritrovare ‘sales momentum’. Ma è come se il brand, una volta offuscata l’aura di affidabilità che lo circondava, avesse qualche difficoltà a connettere con il mercato e a giustificare il ‘premium price’ che era riuscito finora a comandare.

 

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