Toyota e Nissan hanno pubblicato la scorsa settimana i risultati finanziari dell’anno fiscale che, a differenza dei costruttori occidentali, termina a marzo, non a dicembre.
Diciamo subito che è andata maluccio per Toyota, benino per Nissan. Ma tutto è relativo.
Solo il capo di Toyota, che di questi tempi è uno della famiglia Toyoda, poteva evocare un “senso di crisi” in presenza di un utile di circa 15 miliardi di euro e un flusso di cassa operativo pari a 27 miliardi. Sta di fatto che i profitti sono calati del 30% a livello operativo, soprattutto a causa dei tassi di cambio e di maggiori spese di vendita negli Stati Uniti, con un margine che si è “ridotto” al 7.2%.
La dipendenza dal mercato domestico è tornata al 60%, e l’incidenza delle spese di capitale e in ricerca e sviluppo sul fatturato è scesa rispettivamente al 4,4% e 3.7%, segno che Toyota sta tirando un po’ i remi in barca dopo aver investito pesantemente nella nuova piattaforma Tnga.
Per quanto riguarda Nissan, anche qui i profitti operativi sono in calo del 6.4% per gli stessi motivi di Toyota, nonostante uno sforzo positivo in termini di volumi/mix e di riduzione dei costi, con un margine del 6.3%. Le attività operative hanno generato un cash flow di 11 miliardi di euro, mentre le spese in capitale e ricerca e sviluppo sono state superiori al 4% del fatturato.
Tuttavia, gli obiettivi del piano pluriennale Power 88, che prevedeva un margine ed una quota di mercato pari all’8%, non sono stati raggiunti, anche se vendite e fatturato sono cresciuti nel periodo (FY10-FY16) rispettivamente del 35 e 45%.
Ambedue i costruttori hanno previsto per quest’anno un margine del 5.8%, che avvicina i costruttori giapponesi ai principali concorrenti, Gm e Volkswagen, con un fatturato costante ed un utile operativo inferiore (sia pure con ipotesi di tassi di cambio dello yen rispetto ad euro e dollaro conservative, soprattutto Toyota).
Sia Nissan che Toyota hanno perso soldi in Europa lo scorso anno. Se ciò non rappresenta una novità per Nissan, lo è per Toyota, il cui presidente europeo, Didier Leroy, due anni fa aveva ottenuto una grossa promozione interna grazie al “turnaround” – vero o presunto – conseguito nella regione.
Senza dubbio hanno pesato negativamente la Russia e Brexit (Nissan e Toyota hanno fabbriche nel Regno Unito e importano molte componenti), ma anche un aumento delle spese di vendita, peraltro non compensato, almeno per Nissan, da una maggiore quota di mercato. Per ambedue i marchi c’è stato un avvicendamento del management responsabile della funzione commerciale, non so quanto legato ai risultati o se fosse già previsto.
Karl Schlicht è stato rimpiazzato, per la prima volta da quando è stata costituita nel 1990 qui a Bruxelles Toyota Europa, da un giapponese, Hiroaki Nanahara (i giapponesi guidano da sempre le funzioni di manufacturing e sviluppo del prodotto), mentre Guillaume Cartier di Nissan è stato mandato in Giappone ad occuparsi delle vendite globali di Mitsubishi, e il suo posto è stato preso da un insider, Philippe Saillard.
Il 2017 sembra essere iniziato bene, grazie all’impulso dei nuovi prodotti, il crossover compatto C-HR costruito in Turchia per Toyota, e la nuova Micra costruita in Francia per Nissan. Le vendite di Toyota in Europa sono cresciute del 20% nel primo trimestre, e quelle di Nissan del 10%, mentre in Russia continuano a languire a favore dei marchi coreani.
Non c’è da stupirsi dei dati negativi Toyota in Europa. Smantellano una gamma dietro l’altra senza sostituirla…
La Avensis è alla deriva, delle Verso ne sopravvive una (un tempo erano tre le monovolume), fuori del Rav-4 non c’è nulla in fatto di suv, il Land Cruiser è diventato un prodotto interinale, disponibile a richiesta (o giù di lì).
Se non ci fossero Yaris e Auris ibrida che farebbero? Intanto però i clienti storici vanno in concessionaria per sostituire le loro auto e non trovano prodotti con cui cambiarle…