Sono passati quasi due anni dallo scandalo del diesel Volkswagen, e com’era prevedibile le conseguenze si sono sparse a macchia d’olio in tutto il settore, coinvolgendo gran parte dei costruttori. In Germania in particolare, l’accordo segreto tra le case (‘Das Kartell’) per aggirare leggi e truffare i clienti conferma da un lato la scarsa attitudine alla trasparenza nel mondo degli affari tedesco, dall’altro l’oggettiva difficoltà a superare una fase molto delicata in cui gli enormi investimenti fatti sul diesel rischiano di essere vanificati da normative locali che ne prevedono il bando dalla circolazione in importanti centri metropolitani.

In questo contesto, tutt’altro che favorevole, il gruppo Volkswagen, guidato dal Ceo Matthias Müller, si sta sforzando di concentrare le proprie energie sul business, e di migliorare una situazione, ereditata dal management passato, solo apparentemente in salute. La relazione finanziaria relativa al primo semestre dell’anno, appena pubblicata, riflette in buona sostanza tale sforzo, con fatturato e margini in aumento.

Le consegne sono stabili rispetto allo scorso anno, ma sono calate in Cina soprattutto per colpa del marchio Audi, il cui margine è sceso all’8.9%, inferiore a quello di Skoda al 9.8%, e naturalmente a quello di Porsche al 18.9%. Nonostante un EBITDA della divisione automotive che sfiora i 15 miliardi (+34%), il flusso di cassa al netto degli investimenti (comunque superiori al 2016) rimane negativo per quasi 5 miliardi a causa degli accantonamenti per il diesel e del costo delle campagne di richiamo.

Un discorso a parte merita il brand Volkswagen, che finalmente, dopo anni di stenti, sembra aver intrapreso un percorso virtuoso, grazie ad una vigorosa riduzione di costi ed un aumento di produttività (‘Zukunfts Pakt’) abbinato ad una offensiva di prodotto, soprattutto nel segmento dei suv.

Nel primo semestre, il margine è più che raddoppiato al 4.4% con un fatturato (‘adjusted’ dopo una pulizia dei dati di vendita interni) che sfiora i 40 miliardi di euro ed un utile operativo di 1.8, mentre le stime per fine anno sono più prudenti (intorno al 3.5%). Se la ripresa in Russia e Brasile dovesse continuare nei prossimi anni, il target al 4% entro il 2020 appare più che realistico, e perfino quello del 6% entro il 2025 potrebbe essere raggiunto anzitempo.

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