Sergio Marchionne è uscito di scena a modo suo, l’unico imprevedibile anche per i nemici. E ne aveva Marchionne, cinismo chiama cinismo. Ma non immaginavo che si scrivesse per giorni del bilancio professionale e umano e di tirate per il maglione di un morto che non era morto.

Solo ora che davvero non c’è più, appunto delle riflessioni (e dopo questo articolo per la mia testata l’Automobile) che sono poi il senso del lavoro pubblico del giornalista, scripta manent.

Ho criticato molto Marchionne. Ho condiviso il suo salvataggio della Fiat, il suo capolavoro dell’operazione Chrysler (con cui ha salvato la Fiat per la seconda volta), ho scritto che l’operazione Opel era giusta e che gli è stata bloccata dalla politica tedesca, ho ammirato l’operazione finanziaria della quotazione in borsa di Fiat Chrysler e poi di Ferrari, l’intesa con Google sulla sperimentazione della guida autonoma (la prima dell’auto).

Di Marchionne non ho condiviso la sua scelta di privilegiare la finanza a scapito degli investimenti su nuovi prodotti e tecnologie, il non rispetto degli obiettivi di volume dati nei suoi piani, la sua avversione all’elettrificazione, la sensazione che spesso navigasse a vista quando si trattava di macchine.

Non ho condiviso nemmeno la sua battaglia sulla riduzione di alcuni diritti dei lavoratori. Ma so anche, come mi disse una volta insieme ad altri pochi giornalisti in un incontro off, che alcuni dei suoi avrebbero voluto chiudere la fabbrica di Pomigliano. Lui decise di no, di riqualificarla e poi di portarci la Panda dalla Polonia, garantendo nuovo lavoro e dunque anche diritti.

Nei giornali è uso preparare quel che si chiama in gergo un coccodrillo – la biografia di un personaggio pubblico che si presume stia per morire – in modo da essere pronti e non rincorrere date, numeri e fatti quando l’evento accade. Capita che certi coccodrilli restino lì per mesi o per anni, da aggiornare continuamente: quello di Wojtyla è stato forse il coccodrillo più rivisto della storia delle redazioni.

Ma con Marchionne sono state rotte tutte le regole: il coccodrillo di un uomo ancora vivo è stato mandato in diretta quotidiana. Un coccodrillo in pasto a coccodrilli. Stando in vacanza, ho condiviso questo disagio con mia moglie, che mi ha detto: sembra “Le roi se meurt” di Ionesco, pièce su potere e morte con quel riflessivo – “se meurt” – che dilata tempi e tensioni. E tanto più vero ora che è stato reso noto fosse al corrente della sua malattia da almeno un anno.

Teatro dell’assurdo. Che Marchionne, al di là di qualsiasi giudizio sul suo operato, non meritava.

PS due parole sul successore di Marchionne, l’inglese Mike Manley. Nella primavera di cinque anni fa avevo scommesso su di lui – non soldi ma scrivendone su Repubblica – dandolo come unico grande outsider. Manley è oggi una scelta saggia, se non altro perché nessuno come lui conosce a fondo quanto può valere il gruppo Fiat Chrysler essendo seduto sugli unici due marchi che fanno soldi, Jeep e Ram. Parlando negli anni con almeno tre persone che hanno lavorato con Manley, mi sono state riferite cose di lui a volte pure irripetibili. Ma nulla che non coincidesse con il cliché di un manager capace e che non fa prigionieri in nome della propria carriera.

Lascia un commento