E così il 24 giugno sono passati 110 anni da quando l’Alfa Romeo nacque nella periferia milanese. Una storia di alti e bassi, come capita alle cose vere. E molto di leggenda, come capita a pochi. Per questo guardo i numeri del marchio e mi prende lo sconforto. Dico subito la cosa che mi sembra più brutta, così non ci spaventiamo più: tipo che nel 2019 sono state vendute in Europa meno Alfa della sola Audi Q5, 53.546 unità contro 64.110 del modello tedesco (dati Jato). Terribile.

L’Alfa Romeo è un rompicapo storico per chi ce l’ha. Immagino lo sappia anche Carlos Tavares, ceo di Psa sulla via dell’acquisizione di Fiat Chrysler che dovrà gestire fusione, marchi, conti, fabbriche, futuro: per la salvezza di Alfa, si potrà sperare nella passione del manager per le auto sportive, sulle quali ama correre nel tempo libero (che suppongo non avrà più).

Oggi le cose vanno male per Alfa Romeo, e la pandemia ha fatto il resto. Giulia è stata l’auto della ripartenza voluta da Sergio Marchionne, il quale aveva indicato per il marchio un nuovo futuro da premium. Giusta intuizione, ma destinata a restare tale senza iniettare ingenti capitali che non c’erano e che non ci sono. Ripartire non da un suv ma da una berlina di segmento D, che in Europa è roba essenzialmente da flotte, non è stata una scelta infelice di mercato: è ciò che passava il convento tramite Maserati in termini di componenti e oneri da condividere.

Poi è venuto il suvvone Stelvio (e non il contrario), a fine anno si abbandona la Giulietta in profonda crisi di vendite causa invecchiamento per fare al suo posto un altro suv, il Tonale. Bello per come lo abbiamo visto al Salone di Ginevra, in produzione a Pomigliano nella seconda metà del 2021 (Pietro Gorlier dixit, capo Emea) e primo ibrido plug-in del marchio. Però fra un anno e mezzo. Però tutto questo aspettando Tavares.

Ma che ne sarà di Alfa Romeo 110 anni dopo? Di nuovo un rompicapo, come spesso è stato nel bene e nel male. Penso alla Giulietta del 1955 di Giuseppe Luraghi, l’auto più pop del marchio, voluta dal dirigente e dalla proprietà pubblica del marchio sfidando il monopolio Fiat dell’epoca, o alla discussa cessione last minute dell’azienda nel 1986 dell’Iri di Romano Prodi agli Agnelli e non alla Ford. O a bellezze come l’Alfa Giulietta Spider (numero uno per sempre, my view) o l’Alfa 156 di Walter de Silva. O a cosa avvenne per il ritorno annunciato del marchio negli Stati Uniti nel nuovo millennio dopo la fuga nel 1995, per il quale ricordo un articolo quasi emozionato del New York Times: ma quando mai?

Guardo lo 0,3% di quota del marchio sul mercato europeo nei primi 5 mesi del 2020 e prendo un Moment per il mal di testa. Poi chiudo gli occhi e sogno un’Alfa Romeo subito con almeno tre suv anticipando il piccolo, cioè quel che tira sul mercato, una citycar elettrica a forma di crossover che fosse identitaria, una spider dal look rétro, un designer italiano che raccontasse al mondo il passato futuro del marchio, una elettrificazione spinta (no mild) fino a un’Alfa Romeo a idrogeno che stupisse.

I cappelli da alzare in ossequio non si usano più come ai tempi di Henry Ford, ma al passaggio di questo ultimo modello potremmo forse abbassare la mascherina anti-Covid. Chissà che in giro si vedesse finalmente qualche sorriso di speranza in più.

@fpatfpat

Commenti
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    Sono i giornalisti italiani ad aver glorificato marchionne e gli agnelli. IO l’ho sempre criticato e mi sono preso i ban dai siti. Questi sono i risultati.

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    Tutto corretto quello che dici, ma l’Alfa Romeo data per morta mille volte nella sua vita lunga 110 anni ha sempre saputo rinascere e trovare linfa nuova.

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    Secondo me non sara’, nel medio tempo, la PSA a gestire Alfa… nella ristrutturazione potrebbe essere un marchio di prestigio da sacrificare – per fare cassa – a qualche altro produttore, magari asiatico, che necessita di farsi un nome blasonato, tipo operazione Volvo / Cina…
    E non e’ detto che possa essere un male, se arrivassero da direzioni inaspettate investimenti economici ed idee innovative da sposare al “genio italico”.
    Ovviamente spero di sbagliarmi e che sia un matrimonio felice, ma Tavares temo sia un osso durissimo che non indulge certo a sentimentalismi…

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