“Marciare divisi colpire uniti”, raccomandava Mao. Rosso per rossa, è quel che dichiara di voler fare una Ferrari in profonda trasformazione. Ma le cose mi sembrano più complicate: e metto da parte la Formula 1. Qui che fosse un anno difficile si sapeva, perché un cambio di marcia non si fa in questo mondo nello spazio di un mattino.

Nell’era Elkann, post Montezemolo e post Marchionne, succede che la Ferrari di governo, quella sempre stata al potere senza subire il pendolo del tempo, sia ora costretta a condividere la pole con una Ferrari di lotta. Un’azienda di fama planetaria alle prese con problemi di tecnologia, di investimenti e di Borsa. Più o meno come tutti gli altri comuni costruttori.

A una Ferrari di lotta e di governo arriva l’1 settembre Benedetto Vigna come nuovo amministratore delegato, dopo ben nove mesi di interim del presidente John Elkann (fatto disturbante per gli investitori), in seguito alle dimissioni improvvise di Luis Camilleri. Fra conti in ordine e macchine splendide come la 296 GTB.

Vigna chi? E’ evidente che a Maranello non si vogliono più vedere condottieri che tirino troppo dritto, anche se nell’appiattimento globale delle relazioni del post Covid una certa aura in un’azienda che vende sogni sarebbe potuta essere una marcia in più. Ticket Musk-Tesla, per intenderci. O anche guardando sotto a Winkelmann-Lamborghini (non da meno era Domenicali) o a quel che Stellantis sta provando a costruire per il rilancio di Alfa Romeo.

Vigna viene da STM, semiconduttori che oggi all’intera industria mancano come il pane, uno che sa tutto dal nucleare al videogame, di solida formazione e interessante per quel che dice (come potete leggere qui su Carblogger.it). Vedremo se avrà margini di manovra per parlare anche di magia, come dovrebbe essere in quella  posizione. Ma ne dubito.

Per adesso Vigna è l’esemplificazione fatta persona di una Ferrari di lotta e di governo: è il sigillo alla fine prossima del dominio dell’ingegneria meccanica alla Felisa-Fedeli, alla fine definitiva di presenzialismi comprese certe lussuose vendite porta a porta alla Montezemolo, alla fine di storie da “one man show “alla Marchionne che faceva ombra alla proprietà.

Una Ferrari sicuramente più moderna. Ma anche una Ferrari destinata a sgomitare sempre di più nello stesso campo degli altri.

Voglio dire: Goldman Sachs, banca d’affari americana per altro storicamente “consigliori” della famiglia Agnelli-Elkann, ha preso giustamente sul serio il curriculum di Vigna e ha declassato il titolo Ferrari da “buy” a “sell”. Una sberla a freddo come quella a Macron, ma zavorrata nella motivazione: siccome a Maranello il nuovo corso impegnerà sempre più risorse per la transizione tech (con prima elettrica nel 2025). Goldman prevede un impatto sulla redditività nel breve termine. Più costi e meno utili, grosso guaio che assomiglia a quello di tutti i costruttori.

Rossa per rosso, mi serve ancora Mao: “Grande è la confusione sotto il cielo. La situazione è eccellente”.

@fpatfpat

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