Ma qual è la vera ragione del licenziamento da parte di Ford del suo Ceo Mark Fields? Confesso che fatico un po’ a capirla. L’analisi di Lepouquitousse in questo post è l’unica certezza destinata a rimanere certezza fra le tante cose accadute (insieme al fatto che il titolo in borsa abbia perso il 36% negli ultimi tre anni): in una industria dell’auto in profonda trasformazione, le competenze fin qui accumulate sembrano non essere più sufficienti. Per cui, il caso Fields non è chiuso, ma è una campana che suona per tutti.

Il resto della vicenda, tuttavia, mi appare tutto come una incertezza. O meglio: la fine di alcune certezze.

Mi colpisce che Fields sia stato cacciato alla viglia dell’annuncio da parte di Ford di circa 20.000 licenziamenti nel mondo, di cui molti in America, secondo una indiscrezione del Wall Street Journal. Far scorrere un po’ di sangue è stata fin qui la mossa principe con cui un Ceo riceveva applausi dalla Borsa, mentre il titolo saliva. Ecco, il sangue non basta più.

Oppure: nell’America First di Trump da più posti di lavoro americani, Fields ha fatto la cosa sbagliata al momento sbagliato nel luogo sbagliato?

Fatico anche a immaginare un Ceo licenziato che ha portato a casa oltre 10 miliardi di utili l’anno scorso, con previsione (al ribasso, vero) per il 2017 intorno ai 9. Anche se soldi certi diventano incerti quando si guarda a un sistema-paese dove l’ossessione della trimestrale ha un peso specifico che va al di là dei numeri.

Capisco invece bene che Jim Hackett, il nuovo Ceo, sia un amico stretto di Bill Ford e della profonda Detroit e dunque sia stato premiato, ma mi pare un personaggio di transizione. Nemmeno gli analisti sembrano aver esultato.

Anche Fields è (era) un amico stretto di Bill. Nel libro “American Icon”, biografia autorizzata del precedente Ceo Alan Mulally (il cui fantasma aleggia su questa vicenda, come ha notato Lepouquitousse), Fields doveva diventare Ceo nel 2006 ma alla fine gli venne preferito Mulally, ex Boeing, che alla Ford farà un miracolo. Nel libro si legge che Fields rimase molto male, al punto che Bill gli disse le seguenti parole: “Senti Mark, questo è l’uomo che ti farà diventare Ceo. Ho veramente bisogno che tu lo aiuti”.  Copione rispettato, ma stare nel cuore e nel portafoglio del proprietario (uno che per altro si è auto-licenziato da Ceo nel 2006 dopo un quinquennio di gestione diretta) è un’altra certezza finita.

Ma forse la vera ragione della fine di Fields potrebbe stare nella regina di tutte le incertezze: la comunicazione. Date una occhiata ai titoli che vanno per la maggiore a Wall Street: la crescita a tre cifre di Amazon, per fare un esempio, è basata non sui risultati odierni ma sulle previsioni dei profitti nel 2020. Jeff Bezos, insomma, la sa raccontare. Come Elon Musk, maestro del genere per la sua Tesla e gli altri della Silicon Valley.

Fields dunque non sarebbe stato lo storyteller adeguato a questi tempi. The end.

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