Voltswagen, mi vengono i brividi a immaginare un tedesco creativo (vabbè, gli stereotipi). E infatti potrebbe essere stato un americano che lavora alla Volkswagen of America a inventarsi la storia del cambio di nome della filiale Usa del colosso di Wolfsburg, giocato sull’assonanza della pronuncia e sulla dissonanza del significato.
Via il popolo, avanti con l’elettrico. Tutto smentito dopo due giorni: pesce d’aprile. Peccato però che in quelle 48 ore tutti i media internazionali abbiano scritto che non era uno scherzo essendoci un comunicato ufficiale dell’ufficio marketing del gruppo a Herndon in Virginia. Condiviso dal quartier generale in Germania, con tanto di tracce sui social.
Non so se sia stato un pesce d’aprile ben riuscito dato che tutti ci hanno creduto, ma molti miei colleghi americani ora sembrano piuttosto incazzati. Come se sentissero di essere stati manipolati in qualche modo dal marketing, anche se – va detto – ognuno fa il suo mestiere. Una reporter di Usa Today, l’unico vero quotidiano nazionale pop statunitense, ha scritto: macché “joke”, è “deception”. Inganno. Alla Volkswagen hanno sbandato visto che nessuno rideva e così hanno detto la verità per primi a quelli del Wall Street Journal, quotidiano capace di cambiare umori e listini di “Big Board”. “Joke”? Sul sito del Financial Times alla ricerca della parola “Voltswagen” risultano prima zero e poi in serata appena tre risultati..
Voltswagen of America, chissà se in Germania hanno avuto il coraggio di dirlo a Carl Hahn, 95 anni l’1 luglio, nonostante l’età visto in forma nelle foto che un paio di settimane fa lo ritraggono con una ID.3 elettrica bianca, gentile omaggio della casa. E’ lui che dal 1959 ha fatto grande Volkswagen of America per poi divenire ceo del gruppo fino al 1993.
Voltswagen, non mi stupirei se Hahn s’incazzasse come la collega di Usa Today, o di più. Perché è stato lui, appena arrivato negli Usa, ad affidare all’agenzia pubblicitaria DDB di uno dei più grandi creativi americani, Bill Bernbach, il lancio del Maggiolino negli Stati Uniti. Ai tempi come vendere ghiaccio agli esquimesi, ha scritto qualcuno. E’ il dopoguerra, la macchina da piazzare era stata voluta personalmente da Hitler, è piccola, lenta, non bella e non cromata. L’opposto delle auto made in Detroit di moda in quegli anni.
Bernbach, con il sì di Hahn, fece esattamente il contrario di Voltswagen, scherzo o meno che sia stato. Il Maggiolino diventò un successo perché il creativo sfruttò a suo vantaggio la politica della concorrenza a base di gigantismo e forza, rovesciando il tavolo. Al contrario, dicono i due comunicati del gruppo il primo per affermare e il secondo per smentire, Voltswagen sarebbe stata una pensata per sottolineare la svolta elettrica del marchio, mettendosi però in scia di Tesla e Gm e non su una propria strada. Nessun messaggio originale, a fronte di un impegno in competizione mondiale che è quanto di più serio ci sia e con il quale Volkswagen si sta giocando il suo futuro.
Andatevi a vedere su internet “Think small” o ” Lemon” di Bernbach fra le più celebri campagne per il Maggiolino e capirete perché Hahn (e non solo lui) potrebbe prenderla a male.
Ammetto di esserci caduto anch’io in Voltswagen, pur senza aver scritto nulla finora. Ma è difficile pensare che una multinazionale quotata in borsa faccia pesci d’aprile con effetti veri sul titolo. Roba piuttosto da social, frequentati per altro dal ceo del gruppo Herbert Diess, cui la storia non dovrebbe giovare almeno oltreoceano a causa di rapporti tra i media statunitensi e il costruttore già segnati dal dieselgate.
“Puoi attirare l’attenzione – ammoniva Bernbach – ma se lo fai con una trovata gratuita, la gente ne sarà solo irritata”. Se poi non fosse stato uno scherzo da tedesco non capito, peggio mi sento. Un amico che lavora per un’azienda Usa mi ricorda sempre che Al Capone è finito in carcere non per pluriomicidio ma per aver mentito al fisco. Mentire agli americani – da stranieri per giunta – rimane molto pericoloso. Non è uno scherzo, soprattutto se non ci ridono su.
Io (io, non un genio, eh….) non ci ho creduto neanche per un secondo. L’episodio fa parte della guerra commerciale in atto fra USA e Germania, esattamente come il dieselgate. Tutto qua. Il puritanesimo degli americani lo conosciamo.