A Parigi il parere contrario di poco più di 91mila persone (su 1,3 milioni di aventi diritto a esprimersi) ha decretato la fine dei monopattini elettrici a noleggio a partire dall’1 settembre, salvo ripensamenti della sindaca Anne Hidalgo, socialista e ambientalista. Il problema è che potrebbe essere imitata altrove. Ma vietare è un modo per farsi del male, invece di regolare, gestire, informare e provare a vivere diversamente. Gli strumenti ci sono.
Monopattini abbandonati sui marciapiedi? A Parigi avevano quasi risolto da quel che ho visto, con multe a tappeto per chi non li parcheggiava negli appositi spazi, elevate a quasi il doppio da parte di uno dei tre operatori (come spese di gestione) al cliente incivile.
In modo più radicale, si potrebbe poi utilizzare meglio la tecnologia disponibile. Come? Chi non parcheggia il monopattino negli spazi previsti continua a pagare la corsa, combinando algoritmo e Gps grazie all’intelligenza artificiale. E se si va in due, la pedana trasmette il segnale di quattro piedi e blocca elettronicamente la partenza. Sulla sicurezza, perché è vero che i monopattini sono sempre più coinvolti in incidenti a Parigi come altrove, servirebbe invece più intelligenza umana: obbligo di casco, assicurazione, velocità limitata all’origine, più educazione stradale, più controlli. Perché vietare e farsi del male?
La questione dei monopattini sembra la spia di un trend retrogado a chiudere nuovi spazi invece di formare e crescere guardando al futuro. Prendete la decisione del governo italiano, unico al mondo finora, di bloccare in nome di chissà quale privacy ChatGPT, lo strumento di intelligenza artificiale oggi più avanzato (leggete questo post su auto e Cina). Senza sprezzo del ridicolo, il divieto è arrivato pure in coincidenza con la presentazione di una proposta di legge sul bando dell’uso dell’inglese nella pubblica amministrazione da parte di un deputato del partito di maggioranza di destra (la notazione è di media stranieri).
Prendete lo smart working: dopo essere stato esaltato a simbolo di un nuovo modo di vivere e lavorare nel post Covid, è stato ridotto all’osso da aziende private e pubbliche quasi ovunque nel mondo. L’idea è controllare meglio a vista chi fa cosa. E il social cinese TikTok, che spopola non solo tra i giovanissimi? E’ stato vietato ai dipendenti pubblici con obbligo di disinstallazione sui propri telefoni dai governi statunitense e poi da quelli europei con l’accusa di essere una sorta di cimice spia a favore di Pechino. Come se qualsiasi tecnologia di qualsiasi Paese (il caso Snowden insegna) non avesse o fosse sospettabile di avere una backdoor.
PS Ero innamorato di un monopattino rosso quando avevo i pantaloni cortissimi. A spinta, non elettrico e inadatto alla città come quelli che non noleggio perché vado in Vespa o a piedi. Non mi piacciono né i governi di destra né lo smart working, perché continuo a pensare che chi fa questo lavoro dovrebbe cercare di stare il più possibile fuori da quattro mura. TikTok non è tra i miei social frequentati e l’unica backdoor che conosco è farmi sempre una domanda in più.
smart-working non significa necessariamente lavorare tra quattro mura, ma lavorare in modo intelligente ed efficiente… quindi da casa, benissimo se devo stare tutto il giorno davanti ad un monitor che senso ha trasferirmi in un ufficio? Ma anche smart, agile, dove serve lavorare, quando serve, nel posto più adatto o semplicemente più agevole… lo faremo sempre più spesso approfittando delle soste per le ricariche.