Che cosa è Stellantis? Una multinazionale. Un gruppo americano. Una sconosciuta ditta di Amsterdam. Una coproduzione franco-italiana di Parigi. Chi comanda in Stellantis? Esattamente cinque anni fa, settembre 2020, veniva annunciata la composizione del consiglio di amministrazione: John Elkann presidente, Carlos Tavares amministratore delegato. Maggioranza a favore dei soci francesi, grazie al voto dell’ad che vale doppio (ma in platea ci si accapiglia su questo punto, c’è chi sostiene che guida Elkann, ils sont fous ces Romains!).

In Stellantis, fra gennaio 2021 e dicembre 2024, Tavares massimizza il profitto, fa felici gli azionisti e il suo portafoglio, finché improvvisamente tutto rotola giù. Compresa la sua testa (neanche Elkann fosse Robespierre, pur avendo studiato al liceo a Parigi).

In Stellantis, fra non poche fatiche, viene nominato al suo posto Antonio Filosa. Alla ditta di Amsterdam e alla coproduzione di Parigi lo conoscono in pochi, perché l’ingegnere napoletano vive da emigrato da vent’anni in Sudamerica. Da dove manda soldi a casa, soprattutto a quella Fiat Chrsyler creata da Sergio Marchionne che non lo fa rientrare nemmeno per una vacanza. Finché, un paio di anni fa, lo chiamano ad Auburn Hills. Prima gli danno Jeep, poi il cda guidato da Elkann decide che sarà lui il Cristo Redentore di Stellantis, come quello della sua Rio de Janeiro (occhio che è opera di uno scultore francese, oltre che di un ingegnere brasiliano).

In Stellantis, Filosa allarga le braccia come il Cristo Redentore e uno alla volta lascia precipitare la prima linea di manager dell’era Tavares, tutti francesi o legati mani e piedi al portoghese naturalizzato francese. Al loro posto molti ex Fiat Chrysler, garanzia di filiera ma non di successo. Mi guardo in giro e intravedo l’ultimo giapponese, Olivier François, boss di Fiat, DS e Abarth, però già fatto scendere dai piani alti e ancora lì (in tasca un passaporto francese che scotta, ma anche un certificato di nascita da Marchionne boys, chissà).

Contestualmente, Filosa prende tempo sulla presentazione del suo piano industriale per capire meglio l’aria che tira fra dazi americani (a Messico e Canada, dove Stellantis produce molto) e transizione elettrica, resta in America e, dettato da Elkann, annuncia un investimento da 13 miliardi di dollari in quattro anni negli Stati Uniti di Donald Trump. Dove, al di là della pericolosità di un presidente come questo per il mondo intero, c’è e ci sarà comunque un ritorno per il business. Ritorno difficile da sostenere oggi in un’Europa in stallo politico, prima che automobilistico (tant’è che scorgo crescere come fabbrica più grande al mondo di Stellantis il sito di Kenitra, in Marocco, primo argomento di cui i sindacati italiani dovrebbero discutere con Filosa il 20 ottobre).

Un amico mi provoca (fin dal 2020): vedi che in Stellantis comanda Elkann e non i tuoi amici francesi? Certo, ribatto, i francesi sono oggi un pugile suonato in crisi esistenziale prima che politica, hanno altre brioches cui pensare. Però, questo Elkann: improvvisamente molto protagonista in pubblico nell’automotive da un anno a questa parte, dopo aver fatto versare fiumi di inchiostro per dire che a lui di automobili non frega granché. Che gli è successo?

Ripenso a Sun-Tzu. Il giovane Jaki deve avere studiato a memoria lo stratega cinese insieme a Molière, e trovo un passaggio che sembra fatto apposta per lui. Meno male che sono certo sia stato scritto più o meno quattro secoli prima della nascita di Cristo. Lo mando al mio amico, e copio e incollo qui.

Le operazioni militari seguono un Tao di stratagemmi. Così, quando sei capace, fingi di essere incapace. Quando sei attivo, fingi di essere inattivo. Quando sei vicino, fingi di essere lontano. Quando sei lontano, fingi di essere vicino.

@fpatfpat

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