La presentazione della super tecnica sotto la prima Ferrari elettrica – il modello nella sua interezza sarà svelato la prossima primavera, in vendita da ottobre 2026 – è stata oscurata da un tonfo in Borsa del titolo, a Milano come a New York. Più di un analista sostiene che la guidance al 2030 è stata troppo conservativa rispetto alle attese. Non è così che si uccidono anche i cavalli, o i kilowatt, ma certo la festa è stata un po’ rovinata.

Pare che la nuova Ferrari si chiamerà Elettrica senza giri di parole, frutto della mano calda di Jony Ive, ex mago designer e sviluppatore di Apple a fianco di Steve Jobs, solitaria in gamma fino al 2028, quando sarà affiancata da un altro modello a zero emissioni (ora rinviato, secondo Reuters, per l’incertezza dello specifico mercato). In Ferrari, le elettriche peseranno nel 2030 per un quinto delle vendite totali, dicono sempre nella guidance. Poco, direi, se non pochissimo rispetto al 40% del precedente piano industriale di tre anni fa.

La festa Ferrari non si può considerare tuttavia una festa triste. Coincidenza vuole che, il 21 ottobre di dieci anni fa, Ferrari lanciasse la sua Ipo per poi essere quotata in Borsa dal 4 gennaio 2016. Dieci anni vissuti a tutto gas (modo di dire che presto non useremo più), grazie all’idea di Sergio Marchionne di separarla da Fiat Chrysler e valorizzarla come nessun altro prima di lui.

Quei 52 dollari della Ipo sono stati moltiplicati per circa otto volte, anche se il 9 ottobre il titolo è crollato a Milano del 15,41%, precipitando a 354 euro, il valore più basso nell’ultimo anno, e del 15% anche a Wall Street. Alla faccia di trimestrali da record nonostante il mercato cinese valga solo per il 6%, di margine al 28,3% unico nel suo genere, di produzione annuale intorno alle 14mila unità. Marchionne, che pure aveva giocato d’anticipo, non ve voleva più di 7mila per non rischiare di annacquare l’esclusività del marchio, né voleva Ferrari crossover come sarà poi Purosangue (“mi dovreste uccidere, prima”), né una elettrica (semmai sarà, “un dovuto”).

Se Elettrica è l’incompresa del giorno (o è solo colpa della guidance, neoconservativi piani elettrici compresi?), si capisce bene la Ferrari guidata da Benedetto Vigna. Nominato nel 2021 a sorpresa da John Elkann, così a sorpresa che la Borsa non gradì che arrivasse uno sconosciuto amministratore delegato dal tech e non dal lusso, Vigna ha tirato dritto. Facendo per altro cose impensabili per la sacralità di Maranello, tipo riducendo la piramide decisionale, incontrando uno alla volta 300 dipendenti Ferrari per capire cosa andasse e non andasse e addirittura facendo guidare le Ferrari a molti di loro che non l’avevano mai fatto, con l’idea di creare un feeling diverso fra persone e produzione. A occhio, direi che fino al tonfo di Borsa di oggi non ha fatto grandi sbagli, a eccezione della Formula 1. Terreno privilegiato però di Jaki, “una questione personale”, con le sue parole socialmente utili.

Al di là dello spogliarello di Elettrica, la Ferrari resta un business case elettrizzante. Mi è capitato sott’occhio un report di Bernstein uscito a settembre che la dice lunga. C’è una chart con l’andamento del prezzo delle azioni rispetto ai concorrenti nei dieci anni dall’Ipo che fa impressione: il titolo Ferrari è sempre salito senza paura, al confronto con i titoli comparati dagli analisti, cioè Hermès, LVMH, Kering, Richemont, Bmw e Mercedes. Bernstein prevede per Ferrari vendite +2% e ricavi a +11% entro il 2027. Giudizio: Outperform, target 554 dollari. Elettrica a chi?

@fpatfpat

Lascia un commento