Bmw, Hyundai e Toyota hanno in comune l’unica cosa di cui non si è parlato al recente Salone di Monaco, appuntamento rivelatosi straordinario per spunti e proposte. Tutta l’industria dell’auto, chi più chi meno, ha accettato l’idea di una decarbonizzazione, ma questi tre gruppi più di altri credono che l’idrogeno sia una delle strade maestre. Idrogeno significa zero emissioni, è la continuazione dell’elettrico con altri mezzi. E’ un pezzo di futuro, se pensiamo di volerlo ancora. E senza parlare di cinesi, per una volta.
Bmw, Hyundai e Toyota credono così tanto nell’idrogeno e nelle celle a combustibile per la mobilità sostenibile che non hanno ceduto di fronte ai classici problemi dell’innovazione – alti costi, tecnicalità da sbrogliare, produzione “verde” prioritaria, adattamento degli stili di vita. E tirano dritto in un contesto internazionale e settoriale piuttosto complicato, al contrario di gruppi come Stellantis e Renault che hanno ammesso di averne fermato lo sviluppo, di altri che nicchiano senza dirlo apertamente, di altri ancora che sparano contro come Tesla.
Bmw, Hyundai e Toyota hanno il pregio (o il difetto, dipende dal punto di vista) di avere iniziato per primi a lavorare sull’idrogeno. Bmw si è spaventata per avere cominciato troppo presto per poi aggiornare il calendario, Hyundai con Kia e Toyota hanno potuto contare sui rispettivi sistema paese che li hanno aiutati – economicamente e politicamente – nel definire visioni di lungo termine. Honda affianca i tre, ma non sembra con la convinzione di un tempo. L’intrigo è che, se si guarda ai bilanci e al radicamento sui mercati globali, si vede che i tre gruppi sono quelli cresciuti nell’ultimo decennio in modo più lineare e robusto.
Qualche flash: Bmw prevale nel premium, Hyundai non ha mai fatto un passo indietro sulla sostenibilità senza smettere di investire anche negli anni della crisi finanziaria globale del post Lehman Brothers, Toyota resta solidamente il numero uno al mondo per vendite. E’ come se l’idrogeno, questo perfetto sconosciuto, abbia fatto loro bene, una specie di elisir di lunga vita. Zero emissioni, del resto, come per le elettriche, tutte insieme in una corsa in salita.
Ma poi, se in questo immaginario fossero proprio loro, Bmw, Hyundai, Toyota, i marchi che sopravviveranno in quel futuro di cui si dice (da decenni) che rimarranno in pochi? Complici quelle zero emissioni, in un modo o nell’altro?
“Nacque la LenkRacer: a Lenk erano sempre piaciute le automobili, le nuove tecnologie, e quella scattante auto elettrica a guida automatizzata era uno splendido omaggio alla sua memoria. Fantail lavorò con i governi di tutto il mondo per il RacerMonth: un mese in cui le strade della città restarono chiuse al traffico così da permettere a una immensa squadra di operai di installare l’infrastruttura per i nuovi veicoli elettrici. Lo presentarono come un lockdown, ma in vista di un obiettivo meraviglioso. Ai proprietari di auto venne proposto di permutare la vecchia macchina a benzina o diesel in cambio dell’accesso per tutta la vita al sistema LenkRacer mediante la propria app preferita. Ti chiudevi in casa per un periodo che andava da una settimana a un mese, e quando uscivi le strade erano silenziose, l’aria pulita, i bambini potevano giocare all’aperto senza pericolo. Con il sistema di car sharing, serviva solo un quarto dei veicoli di prima. Non c’erano più ingorghi. Biciclette e tricicli avevano spazio per pedalare lungo le vie tranquille. Lavorando di città in città, di metropoli in metropoli, di stato in stato, nel giro di diciannove mesi la maggior parte del pianeta venne riconvertita. Ogni anno, si evitava la morte di 1,3 milioni di persone negli incidenti stradali. Ogni anno, si evitava la morte di 7 milioni di persone per l’inquinamento atmosferico. Dopo, fu difficile credere che fossimo stati disposti a sacrificare tante persone al motore a scoppio” (Naomi Alderman, da “The Future”).