La Cina si è meritata la copertina dell’Economist di questa settimana, nonostante le tragedie palestinese e ucraina. Il titolo, “Winning the trade war”, scorre sopra due giocatori di basket con canotte di Usa e Cina. All’interno viene spiegato perché a canestro (con la palla a forma di mondo e non a spicchi) stanno andando i cinesi, che studiano, programmano e tirano dritto. “Sette anni fa, quando i governanti cinesi hanno fatto il punto della situazione sul presidente Donald Trump – scrive il vicedirettore Robert Guest – si sono resi conto che una grave guerra commerciale era probabile e hanno iniziato a identificare e risolvere le vulnerabilità del loro paese. Hanno anche studiato i punti deboli dell’America, nel caso in cui avessero mai dovuto sfruttarli. Questa lungimiranza sta dando i suoi frutti”. Non solo: la Cina “ha imparato a intensificare le tensioni e a reagire con la stessa efficacia degli Stati Uniti. E sta sperimentando le proprie regole commerciali extraterritoriali, cambiando così il corso dell’economia mondiale”.
La Cina vincente dell’Economist fa riflettere sull’assenza dell’Europa nei processi politici economici globali che rischiano di schiacciarla. Venendo alla ragione sociale di questo blog, la nostra industria dell’auto è stretta fra il neo-protezionismo americano, che almeno sulla carta ci obbliga a investire lì oppure a diventare superflui, e la rivincita cinese, che si riprende le quote di mercato interno a noi appaltate per il tempo necessario a imparare come si fanno le auto e che esporta a casa nostra per ridurre i danni da sovraproduzione, malattia infantile del capitalismo.
Se la Cina vince con gli Stati Uniti la sua guerra commerciale, figuriamoci con l’Europa. Ma perché la stiamo facendo vincere (resto ottimista con presente progressivo e gerundio, non è game over)? L’Europa aveva reagito per prima all’emergenza climatica e alle paure da inquinamento crescente. Proponendosi come il laboratorio più avanzato al mondo per la transizione alla mobilità elettrica e fissando al 2035 la fine della produzione di motori endotermici, data che oggi molti costruttori e politici di centrodestra vorrebbero far saltare. Ma che senso ha per l’Europa fermarsi invece di accelerare su un tema progressivo, mentre la Cina porta sempre più avanti la supremazia tecnologica senza che nemmeno gli Stati Uniti siano riusciti a ostacolarne la crescita?
Sul 2035, la risposta migliore resta non la mia, ma quella che Louis Schweitzer, top manager francese che da presidente ha fatto grande la Renault con l’alleanza Nissan e l’invenzione di Dacia, ha dato al direttore di Quattroruote in una bella intervista esattamente due anni fa: “Conoscendo i produttori per quello che sono, se fissi una data troppo lontana, come il 2050, non succede nulla e le persone non iniziano a muoversi. Forse il 2040 sarebbe stato più intelligente. Ma ora le Case si stanno dando da fare”.