E così la Renault Twingo è tornata. Elettrica. Non era previsto dopo l’ultima generazione, una specie di tradimento rispetto alla gloriosa prima, lasciata sul mercato per quasi 15 anni. Poi è arrivato Luca de Meo con le sue intuizioni di marketing e ha deciso: rifacciamola tale e quale all’originale. E così è stato, almeno nello stile, sviluppata a tempi record e a costi minori servendosi di un partner cinese. Qualcuno l’ha definita rivoluzionaria, aggettivo che va per la maggiore in una certa narrazione automobilistica, ma è esagerato. Che provi a fare la rivoluzione la nuova Twingo, e poi semmai la incenseremo. Essendoci cinesi di mezzo, meglio ricordare cautamente anche Mao: “La rivoluzione non è un pranzo di gala”.
Mi scaldo sull’aggettivo rivoluzionario e allora per me rivoluzionaria è stata la prima Renault Twingo del 1992. Monovolume di 343 centimetri di lunghezza (oggi diremmo: una kei car, se non una E-car), spazio da limousine per quattro persone, due porte più portellone, colorata tant’è che il bianco, il nero e il grigio non erano disponibili. Fu presentata come erede della Renault 4. Dunque spartana, niente servosterzo e niente alzacristalli elettrici, salvo rischiare di rimanere invenduta e allora guadagnare in corsa accessori e mollezze cui ormai eravamo abituati anche sulle piccole.
“E’ un’auto su cui sono stato seduto per pochi minuti a fianco di Dio”, mi disse vent’anni dopo Yves Dubreil, capo ingegnere di quella prima Twingo, ricordando di averne portata una rossa nel cortile dell’Eliseo l’1 marzo 1993 per presentarla al presidente francese. “Dio” in persona era François Mitterrand. Renault ci mise ben 17 anni a trovare l’erede della 4 e chiamarla alla fine Twingo. Prima di lei, ci furono maquette e disegni firmati (e messi da parte) di Robert Opron, Jean Pierre Ploué, Marcello Gandini, perfino uno chiamato Neutral e studiato dai lavoratori della Régie e dal suo sindacato maggioritario comunista, la Cgt.
Ci vorrà la matita di Patrick le Quément e il coraggio del presidente Raymond Lévy perché Twingo nascesse come l’abbiamo conosciuta. Un giorno del 2009, il designer francese ormai in pensione mi raccontò con queste parole le tribolazioni finali fra due progetti. “Allora non c’era internet e a Lévy mandai un biglietto in cui scrivo: lei è al corrente del test, le chiedo di scegliere fra un design istintivo piuttosto che un marketing estintivo! Lévy mi rispose: sono d’accordo con lei”. E quando Lévy lasciò all’inizio del 1992, sulla Twingo il successore Louis Schweitzer “moltiplicò gli investimenti”, mi disse nella stessa occasione le Quément. Altro onore a Schweitzer, scomparso nei giorni scorsi, l’uomo che ha fatto davvero grande Renault. Se volete saperne di più sul manager, qui una intervista a Gian Luca Pellegrini di Quattroruote due anni fa e qui un obituary di Luca Ciferri su Automotive News Europe) (vabbè, combine interista)