Dal 2004 al 2014, la Fiat guidata da Sergio Marchionne beneficierà di quasi 2 miliardi di euro di risparmi lordi sul lavoro (1,7 al netto)  grazie al ricorso massiccio alla cassa integrazione negli stabilimenti italiani. Anche solo dal punto di vista economico, per l’azienda è stato meglio così che chiudere fabbriche, cosa più volte minacciata. Perché con la crisi dell’auto che si è aggravata, i minori oneri hanno toccato fino ai 200 milioni annui. Il periodo preso in esame va dal 2004, anno in cui Marchionne ha preso il potere a Torino (giugno), al 2014, quando dovrebbe finire la Cigs a Melfi.

Lo ha scritto senza essere stato smentito Andrea Malan sul Sole 24 ore, dopo aver spulciato bilanci e conti e tirato una riga su quanto avvenuto nelle fabbriche di Mirafiori, Melfi, Pomigliano, Cassino e Termini Imerese per circa 30.000 lavoratori dipendenti.  Un lavorone pubblicato sul giornale della Confindustria, che merita chapeau.

Qui  l’articolo de Il Sole 24 ore . Questa storia non cambia il corso degli eventi, ma accende un’altra luce sulla gestione dell’amministratore delegato del gruppo alla vigilia della chiusura di un nuovo accordo con le banche per farsi finanziare la scalata finale alla Chrysler.

Dunque è così che si fa produzione in questo paese? E’ vero che grazie anche alla cassa integrazione (ma non solo, come ricorda Malan), Marchionne non ha chiuso altre fabbriche dopo quella di Termini Imerese. Ma quando a pagare quasi completamente  la cassa sono tutti i lavoratori dipendenti, che finanziano l’apposito fondo,  beh non c’è granché da essere soddisfatti di fronte a questa particolare forma di pubblica distribuzione delle perdite. Facile fare gli imprenditori di assalto del nuovo mondo, protetti da simili garanzie.

 

 

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