La municipalità di Detroit ha avviato le procedure del Chapter 9, la bancarotta. Da ieri sera sui media americani e da oggi su quelli italiani trovate sussurri e grida di una caduta clamorosa, “come se fosse stata investita da un Katrina lungo dieci anni”. Un segnale che stride drammaticamente per la vita di migliaia di persone e per la ripresa dell’auto nella sua città simbolo a livello mondiale: perché succede mentre le tre grandi o ex grandi, Gm, Ford e Chrysler sono uscite dalla crisi che le aveva travolte in forma diversa nel primi decennio di questo secolo.
Gli ultimi dati dicono che giugno è stato il 25esimo mese consecutivo di vendite di auto in aumento sul mercato Usa, tornato a livelli quasi di pre-crisi e con le tre a mangiarsi il 46,8% della torta. Ford è il marchio che oggi cresce più velocemente nel mondo, nonostante in Europa si avvii a perdere quest’anno circa 2 miliardi di dollari.
Ma Detroit chiude lo stesso per bancarotta, e non si può dare la colpa ai dipendenti pubblici che difendono con i denti i loro stipendi e le loro pensioni. Detroit è stata devastata dall’auto dopo esserci ingrassata. E’ vero che lì il mercato tira adesso come in Cina o in Sudamerica, ma la storia d’amore tra noi e l’auto ormai è un’altra. Mi fa impressione davvero questo Katrina di Detroit. E mi fa venire i brividi pensando al claim del celebre spot del SuperBowl di Chrysler ed Eminem, “Imported from Detroit” e il suo “questa è Motor City, questa è la nostra storia”. Spero che ai tempi di una Fiat pronta a traslocare mente e cuore proprio dall’altra parte dell’Oceano, non diventi mai un segno premonitore per le sorti di Torino, altra città figlia e succube dell’auto.