In Toyota è vita dura per i manager stranieri. In giapponese c’è un termine un po’ sprezzante per definire chi non è nativo: “gaijin”. Così fu chiamato a lungo Carlos Ghosn quando dalla Renault fu mandato manu militari a dirigere la Nissan nel 1999. Ma se anche grazie a Ghosn – origine libanese, nascita brasiliana, formazione francese – casa Nissan (Renault) sembra più aperta all’internazionalità, in Toyota chi non è giapponese molto difficilmente sale. O più facilmente scende.

Nei giorni scorsi, Julie Hamp, americana, 55 anni e prima donna senior executive della storia del gruppo giapponese, è stata costretta a dimettersi da numero uno delle relazioni esterne della Toyota. Un incarico ricevuto soltanto in aprile direttamente da Akio Toyoda (nella foto), boss del gruppo e membro della famiglia che controlla l’impero.

Hamp è stata arrestata in Giappone con l’accusa di avere importato illegalmente dosi di ossicodone, una alternativa alla morfina per alleviare dolori oncologici. In America si ordina liberamente, in Giappone qualsiasi dose va denunciata. Hamp si è dichiarata in assoluta buona fede, Toyoda si è speso pubblicamente a sua difesa in attesa che la magistratura concludesse le indagini, ma alla fine l’americana ha dovuto lasciare. Brutta storia, comunque sia andata realmente. Con una domanda inevasa che vale per tutti i protagonisti (oscuri compresi) di questa strana vicenda: chi sapeva cosa?

L’ufficio Toyota della Hamp è finito ad interim sotto la responsabilità del senior manager Shigeru Hayakawa. Per una clamorosa coincidenza della vita, Hayakawa è lo stesso dirigente giapponese che nel settembre del 2007 fu nominato in fretta e in furia a capo di Toyota Nordamerica per sostituire Jim Press, fuggito dall’incarico dopo 37 anni passati in Toyota e primo americano e “gaijin” portato a Nagoya nel corporate board del gruppo giapponese.

Il 17 settembre 2007, a 61 anni Press diventava co-president della Chrysler guidata da Cerberus Management Capital, un fondo di private equity che rilevò il costruttore da Daimler dopo grosse perdite per i tedeschi e una fusione non riuscita. Chrysler andò poi lo stesso a rotoli e il top manager fu fatto fuori da Marchionne nel giugno del 2009.

Stupì la scelta di Press, l’uomo che aveva fatto grande la Toyota negli Stati Uniti e per il quale era stato aggiunto un posto a tavola in Giappone. Ma i bene informati dissero subito che a Nagoya i giapponesi non gli avevano fatto toccare palla, altri aggiunsero che fu una questione anche di soldi (tanti), al punto da far titolare a Fortune “Il misterioso caso di Jim Press”.

ps Sconsigliando gesti scaramantici volgari, il francese e “gaijin” Didier Leroy farà bene a tenere gli occhi aperti. Da aprile è lui l’unico straniero nel corporate board della Toyota, promosso a 58 anni a vice president executive con responsabilità sul Nordamerica, Europa, Asia, Africa e in Giappone per le “sole” vendite. La vecchia guardia samurai ha già alzato il sopracciglio, basta leggersi l’andamento della prima assemblea degli azionisti Toyota in cui è stato attaccato per una non padronanza della lingua. La guerra al “gaijin” è solo all’inizio.

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