Con Tommaso si rideva. Delle cose della vita, del nostro lavoro, di noi stessi. Tommaso ci ha lasciato questa notte, inspiegabilmente, come si sostiene quando accade una cosa per la quale non si è mai pronti.

Si muore quando si può, non quando si deve, scriveva Garcia Marquez. Ecco, Tommaso se ne è andato non perché tra pochi giorni avrebbe compiuto 81 anni e l’anagrafe dopo una certa età conta sempre il tempo a ritroso, ma perché – voglio credere – ha pensato di poter farlo. Stava bene, stava benissimo. Lo ha fatto in punta di piedi, da par suo, giornalista e gentiluomo, amico e collega. Un vuoto dolente per molti, a cominciare dalla sua grande famiglia.

Un vuoto per la nostra professione. Tommaso era nato e cresciuto a Paese Sera, una scuola di giornalismo, dove un giorno gli chiesero – mi raccontò una volta sempre col sorriso sulle labbra – di cercarsi un altro posto di lavoro causa crisi, “tu che sai l’inglese, un giornale lo trovi facilmente”. Sapere la lingua era merce rara, a quei tempi. E Tommaso trovò subito altri lavori, così come dopo pochi anni trovò un altro giornale di riferimento, Repubblica, altra scuola di giornalismo  come è stato Paese Sera in epoche diverse.

Tommaso era la lucidità al potere. Nei giudizi, nell’analisi, nella visione, anche quando non si era d’accordo.  Un uomo cui piaceva discutere senza mai alterare il tono della voce. E pronto alla battuta e a un luccichio degli occhi, si parlasse delle vicissitudini del mondo o del suo amato calcio. Da ragazzo ha giocato a pallone prima di un infortunio, se non ricordo male. Un uomo bello, al punto che una volta Enzo Ferrari gli disse (è stato tramandato con il suo assenso) “perché lei fa il giornalista e non l’attore?”.

Tommaso ci lascia nel giorno in cui è uscito un suo editoriale sulla pagina motori di Repubblica. Non ha fatto in tempo a vederlo, ne sarebbe stato giustamente orgoglioso. L’avevo incontrato l’ultima volta una decina di giorni fa. Una riunione di lavoro, fitto scambio di idee, la sua lucidità, l’immancabile risata.

Adesso stava chiudendo il numero del suo mensile InterAutoNews, uno strumento formidabile di conoscenza dei mercati per tutti gli operatori, dai concessionari alle Case a noi colleghi, appannatosi negli ultimi tempi soltanto perché a questa informazione della rapidità, lui preferiva ancora il profumo della carta. Non che disdegnasse internet: ha scritto post per questo blog come per Autologia.net.

Ho avuto l’onore di lavorare con lui per InterAutoNews e per la sua rivista semestrale DataBook. Mi ha chiamato a far parte della giuria del trofeo Top Manager Italia e Mondo, che aveva creato grazie alla sua autorevolezza. Grazie Tom, anche di questo.

Mi sembra di vederlo ancora lì, al computer, dove ha passato come al solito ognuno di  questi giorni. Immagino domenica compresa, prima di spegnere quella maledetta luce. Lucido e col sorriso. Ci vediamo, Tom.

Commenti
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    Ho conosciuto Tommaso Tommasi durante un viaggio di lavoro in Corea e Cina, nell’aprile del 1997. Io ero nuovo nel campo dell’automotive, venivo dai quotidiani e, lo ammetto, mal sopportavo certi colleghi o presunti tali che tutto sembravano fuorché giornalisti. Lui però, come ho capito di lì a poco, era lui: un’autorità . Ci scontrammo duramente ma civilmente a cena – lo ricordo come fosse ieri – su un terreno scivoloso come quello dell’autonomia dell’informazione nei confronti delle Case. Ne uscimmo con una stima e un rispetto reciproco che sono durati quasi vent’anni. RIP, Tommaso.

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    Ho conosciuto Tommaso Tommasi in quella grande squadra, diretta da Claudio Nobis, che collaborava alle pagine e ai supplementi motori di Repubblica. Ora mi scorrono davanti agli occhi i ricordi personali di un collega speciale, dalla grande caratura professionale. Tanti flash back, a cominciare dalle mitiche trasferte al salone di Detroit, con le lunghe cene condite da discussioni in cui spiccava la sua autonomia intellettuale. Una stima cresciuta negli anni man mano che conoscevo l’uomo, al di là del giornalista. Anche per questo mi fece molto piacere il suo apprezzamento, che sapevo sincero, per la riprogettazione del mensile che ero stato chiamato a dirigere a fine 2008. Mi rimane il rimpianto di non aver aderito al suo invito a collaborare al suo giornale, formulato poco dopo, a causa dei miei impegni. Ciao Tom, riposa in pace, non ti preoccupare se i numeri torneranno a esser freddi senza il calore delle tue analisi.

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    A sessant’anni ne aveva quaranta, a settanta la vitalità di un adolescente. E’ questa la vera corsa a ritroso che ha finito per portarlo via. Aplomb anglosassone, radici sarde, famiglia e lavoro a Roma, Tommaso è stato un grande viaggiatore del suo tempo e dell’epopea giornalistica che ha vissuto negli anni d’oro e squatrinati della cronaca locale, e in quelli internazionali della crisi globale della professione. L’ho avuto come compagno di strada per parte del viaggio, e ne ho sempre cercato la compagnia.

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