Il prossimo Salone di Francoforte è l’ibrido come non l’abbiamo mai visto. Non più solo Toyota (addirittura in esclusiva questa volta), ma i tedesconi in pole position sulla pista di casa e la new entry di Land Rover sul collo.  Un lusso necessario: perché l’ibrido fa bene all’immagine, perché riduce le emissioni medie dell’intera produzione motoristica di un costruttore, perché fa un po’ domani.

Ibrido significa essenzialmente due motori, dunque più costi (mi ricordo che Carlos Ghosn diceva di non crederci fino a pochi anni fa e Sergio Marchionne continua a non crederci esattamente per lo stesso motivo), e che uno dei due motori è sempre elettrico, dunque un insieme che riduce l’impatto ambientale.  Banali tecnicismi. Si capisce meglio detta così: l’ibrido salva l’anima di chi ce l’ha, di chi lo produce e di chi lo compra, e può aiutare perfino gli altri. Nel senso che inquinare meno si può considerare un bene comune.

Nuova Range Rover ibrida, Porsche 918 Spyder ibrida, Bmw X5 ibrida,  Mercedes S 500 ibrida,  tranne la prima tutte plug in, cioè ricaricabili da una normale presa elettrica e con una maggiore autonomia in modalità a batterie rispetto alle non plug in. Mi fermo qui anche se ci sono altri modelli, (Peugeot 208h, per esempio), perché queste auto non da tutti i giorni sono un po’ bandiere (paradossali) del nostro tempo. Chi vuole le sventoli, ma senza esagerare.

E poi, diciamola tutta: con l’ibrido si inquina meno in città, non in autostrada dove è in funzione il solo motore termico e dove un diesel moderno è più o altrettanto efficiente, ma meno costoso e meno pesante di due motori. Il problema è che le autostrade portano da una città all’altra, per cui  l’ibrido, se non ci fosse, bisognerebbe inventarlo.

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