Avete visto il film con Andy Garcia “Cosa fare a Denver quando sei morto” ? A me ha fatto venire in mente Carlos Tavares, e le sue ultime giornate trascorse a Parigi, dopo aver detto a Bloombergmy experience would be good for any car company, why not GM? I would be honored to lead a company like GM.”

Cosa abbia spinto l’ormai ex-COO di Renault a fare questa dichiarazione non è dato sapersi ma, come dice un’espressione giapponese, “only numbers walk…”, nel senso che le parole vanno, i numeri restano.

Ed il bilancio del primo semestre di Renault Group è tutt’altro che positivo: fatturato e volumi in calo, EBIT e free cash flow dell’auto negativi, un utile netto di appena un centinaio di milioni di euro, con un deterioramento di 680 milioni rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

Numeri che non devono aver favorevolmente impressionato Carlos Ghosn, l’onnipotente CEO di Renault-Nissan. Tra i due deve esserci stata una discussione piuttosto animata, con l’esito che conosciamo, cioè le inevitabili dimissioni di Tavares dopo l’intervista a Bloomberg.

A nulla, evidentemente, sono valsi gli ‘achievement’ di Tavares, al quale viene attribuito il ‘turnaround’ di Nissan nel 2010 negli Usa, o più di recente la crescita spettacolare del marchio Dacia in Europa (+17% nel primo semestre 2013).

Ma al di là delle prospettiva – piuttosto improbabile – che Tavares vada in Gm, e degli attacchi di gelosia che un importante CEO (non necessariamente Ghosn) può avere nei confronti del suo numero 2, la domanda che viene da porsi è cosa effettivamente misuri la performance di un top manager nel settore dell’auto. Tanti sono i fattori esterni che giocano un ruolo decisivo, in negativo o in positivo; tanti, troppi sono i salti di carriera che impediscono di valutare il lavoro fatto nell’arco di uno o più cicli di business.

In Toyota, come sempre, hanno risolto la questione con la consueta saggezza orientale. Premiando non tanto la performance, quanto la fedeltà.

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