La fabbrica Fiat di Termini Imerese chiude il 31 dicembre. Quella Irisbus, in Campania, il 31 ottobre. Per i dipendenti dei sei stabilimenti italiani del gruppo torinese, nei primi nove mesi dell’anno i giorni di cassa integrazione hanno superato di gran lunga quelli lavorativi. A esclusione di Sevel, che non ne ha fatto nemmeno uno ma dove Fiat produce commerciali. Il futuro del lavoro nelle fabbriche del primo gruppo industriale italiano appare piuttosto incerto dal punto di vista di chi ci lavora: sia perché l’amministratore delegato Sergio Marchionne continua a non dare certezze, sia perché dall’Italia escono sempre meno modelli e solo per un mercato europeo in declino. Non è un caso che dei cinque nuovi modelli presentati dal gruppo Fiat nel 2011, quattro sono prodotti altrove: in Polonia (Lancia Ypsilon), in Messico (Fiat Freemont), in Canada (Lancia Thema e Voyager). All’Italia toccherà la sola Fiat Panda, in calendario per metà dicembre.
La Fiom ha diffuso dati sull’uso della cassa integrazione che fanno capire perché le cinque fabbriche della Fiat nel nostro paese sono tutte in perdita, come dice Marchionne. Tra gennaio e settembre 2011, su 205 giorni lavorativi, a Mirafiori gli operai sono stati sulle linee 35, a Cassino 169 (grazie al boom dell’Alfa Romeo Giulietta), a Pomigliano 37 (aspettando Panda), a Termini Imerese 94 (gli ultimi, o quasi), a Melfi 147. Nel 2012 le cose non andranno molto meglio, a eccezione di Pomigliano, anche se i mercati difficilmente satureranno una capacità produttiva di 280.000 Panda all’anno. «C’è il rischio che non assumano tutti», mi dice Giorgio Airaudo, responsabile auto Fiom, e anche per questo il sindacato dei metalmeccanici Cgil sta pensando di organizzare una sua rappresentanza, nonostante il nuovo contratto glielo vieti. Tra gli operai riassunti non risultano iscritti Fiom.
Marchionne ha mandato un nuovo messaggio: la Fiat ha perso sul mercato italiano negli ultimi tre anni 210.000 vetture, «la capacità di uno stabilimento». Dunque, dopo Termini, potrebbe essere a rischio un’altra fabbrica. «Se si sta sui numeri, è Mirafiori», dice Airaudo, «è incerto il destino delle 5.000 persone che lavorano alla progettazione. Non c’è ancora nessuna decisione sul secondo Suv Alfa Romeo previsto, mentre la produzione dell’Alfa Mito a cinque porte è un’altra illusione, la aspettiamo da due anni». Da Mirafiori, Marchionne ha già spostato in Serbia la produzione delle due nuove monovolume a 5 e 7 posti che sostituiranno Fiat Idea e Lancia Musa. La vita dei vecchi modelli potrebbe continuare per il 2012, ma solo per non aggiungere ulteriore cassa integrazione.
Nei primi nove mesi dell’anno, nei paesi dell’Unione europea più quelli Efta, il gruppo Fiat ha perso il 12% di vendite rispetto allo stesso periodo del 2010, peggior dato fra i grandi costruttori generalisti che sono scivolati anche loro (Renault, Psa, Ford), drammatico a confronto di quelli che hanno guadagnato (Volkswagen e Gm). Italia, Francia e Spagna continuano ad andar giù, la Germania è positiva, ma senza essere in grado di trainare le vendite di un continente in stallo, da cui i marchi del gruppo Fiat dipendono.
Parlando l’altro giorno a Torino, Marchionne ha detto chiaro che intende puntare su Stati Uniti e Brasile per recuperare con Fiat-Chrysler quanto perde in Europa. Parole che presuppongono scelte precise negli investimenti. Dei 20 miliardi di euro promessi agli stabilimenti italiani, Fiat ne ha messi 700 su Pomigliano, 500 sulla ex Bertone per Maserati e 1 miliardo su Mirafiori (a suo tempo, 600 da Fiat e 400 da Chrysler). I primi si sono visti, gli altri chissà. Nel solo Brasile, tanto per dare sostanza alle parole di Marchionne, Fiat e il resto dell’industria mondiale si calcola investiranno tra il 2011 e il 2012 circa 15 miliardi di dollari. Entro il 2030, da qui e dagli altri paesi del Brics (Brasile, Russia, India, Cina cui si è aggiunto l’anno scorso il Sudafrica) arriverà il 50% del Pil mondiale. Ce ne è abbastanza perché la Fiom scenda oggi in piazza e chieda di condividere preoccupazioni che in questo paese dovrebbero essere di tutti.

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