La Ducati beve. Ed è assetata di soldi, non per andare avanti ma per crescere davvero. Ha bisogno di un “partner industriale di rilevanza mondiale”, dice al Financial Times Andrea Bonomi, presidente del gruppo che controlla il marchio di moto di Borgo Panigale. Sottintentendo che andrebbe benissimo anche un partner finanziario solido, e infatti butta lì la possibilità di una quotazione in borsa a Honk Kong (dove passano i soldi veri). L’italianità di Ducati, compresa la sella data a Valentino Rossi nel MotoGp, è il solito valore-non valore nell’epoca della globalizzazione. Chi potrebbe farsi avanti? Una è la chiacchieratissima Mercedes, quel gruppo Daimler che nel 2011 ha chiuso un bilancio record e che vedrebbe nella Ducati l’occasione per contrastate la divisione moto della Bmw. Ho però un dubbio che i tedeschi facciano shopping, visto come è andata male l’acquisizione della Chrysler e visto l’enorme cautela nella nuova partnership con Renault-Nissan.  Poi ci sono i gruppi cinesi, ancora senza nome ma con portafoglio pieno, o indiani come Mahindra, che sulle due ruote sono storicamente avanti rispetto ai cinesi e possono contare su altrettanti portafogli imbottiti. La nuova pagina di storiadella Ducati  potrebbe rivelarsi perfino una ottima exit strategy per Valentino Rossi. Che già ha a che fare con le tristezze dell’Inter (nostra, ahimè).

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