Aspettando miracoli nella produzione affinché nel 2014 in Italia si costruiscano i promessi 1,4 milioni di veicoli, l’amministratore delegato di Fiat-Chrysler produce annunci a effetto. Inspiegabili sul piano tecnico, quanto politicamente pesanti per i lavoratori.
Nella due giorni veneziana del Consiglio Italia-Usa, Marchionne ha detto di essere pronto ad affittare le sue fabbriche europee a chi vorrà, per fare fronte all’eccesso di capacità produttiva. Lo ha chiamato plant sharing, soluzione forse utile a recuperare soltanto un po’ di Imu. In sostanza, si tratterebbe di ospitare a pagamento una linea di una vettura di un altro marchio a fianco per esempio della Giulietta a Cassino o della 500L in Serbia. Ma considerando che gli stabilimenti (compreso quello serbo e polacco) sono stati variamente avviati con contribuiti pubblici, potrebbe essere semmai un subaffitto.
Con la Lego, mattoncino più mattoncino meno, l’idea sarebbe come fatta. Ma nell’auto si improvvisa soltanto la comunicazione. Per installare una nuova linea necessitano almeno nove mesi, investimenti seri sugli standard qualitativi, un sistema di fornitori molto integrato. Per stabilimenti come Mirafiori o Cassino, dove da anni la Fiat non ha investito più nulla, l’operazione richiederebbe soldi veri come quelli spesi a Pomigliano. Dove, per altro, le linee delle Panda sono state pensate per essere smontabili in pochissimo tempo e trasferibili altrove, se le cose non andassero secondo i piani.
L’affitto della fabbrica è una boutade, perché non esiste una condivisione che non parta dalla progettazione comune. Altra cosa è la joint venture, come quella fatta dalla Fiat e dalla Ford in Polonia. Dalla stessa fabbrica sono uscite le Fiat Panda e le Ford Ka nate sullo stesso pianale, e a seguire è stata aggiunta la 500. Tutto questo per abbattere gli oneri di sviluppo su prodotti di fascia bassa, dove i margini sono ardui.
Marchionne sa ovviamente tutto questo, ma l’affitto (o il subaffitto) suona come un modo per proseguire una guerra al mondo del lavoro con altri mezzi. Le quattro fabbriche del paese hanno una capacità produttiva grosso modo di 1 milione di veicoli all’anno; nel 2011 la produzione è stata inferiore alle 500.000. Dunque, due fabbriche su quattro sono superflue. L’affitto, anche prendendolo sul serio, non risolverebbe nulla.
Dal Giappone, il presidente della Mazda – che ha appena firmato una lettera d’intenti per produrre a Hiroshima la prossima generazione di spider Alfa Romeo – ha rilanciato: «In Europa è possibile che la Fiat possa produrre vetture con marchio Mazda, perché è inutile portarle dal Giappone». Colpa del super yen, certo, ma il costruttore giapponese ha venduto solo 180.000 vetture l’anno scorso in Europa, su un totale di 1,25 milioni nel mondo. Ha conti in profondo rosso, perde quota ovunque e ha bisogno di un partneriato o di una fusione, non di un affitto, per sopravvivere alla competizione globale. Toyota, Nissan e Honda hanno già fabbriche in Europa. I coreani Hyundai-Kia, gli unici che crescono sui mercati, hanno appena ampliato la capacità di quel che hanno. Il futuro dei lavoratori Fiat non si salva navigando a vista.
Lascia un commento