Quanto è ampio oggi lo spread tra la richiesta di Sergio Marchionne per cedere l’Alfa Romeo e la proposta di acquisto da parte del gruppo Volkswagen? E’ a zero, a sentire il “no” dato all’Ansa da un portavoce del costruttore tedesco: «Non è un segreto il fatto che riteniamo Alfa Romeo un marchio interessante. Ma si può star sicuri del fatto che con 12 marchi abbiamo già abbastanza da fare». Insomma, non c’è nessuna trattativa in corso per l’acquisto dell’Alfa, anche se gli analisti del settore sostengono che se la storia si rivelasse un saldo di stagione, soldi e tempo da dedicare all’operazione i tedeschi li troverebbero. L’eventuale acquisizione potrebbe essere agganciata alla cessione anche di uno stabilimento – su questo sta insistendo da tempo Massimo Mucchetti dalle colonne del Corriere della Sera – forse Mirafiori forse Cassino (i due dove oggi si costruiscono modelli Alfa), in modo da salvare dei lavoratori. Oggi abbandonati a lunghi periodi di cassa integrazione e all’incertezza di averne di più se va bene, di andare a casa se va male.
La questione tedesca di Marchionne è opera di Ferdinand Piech, il vero boss nonché azionista di peso del gruppo Volkswagen. Nel 2010 dice pubblicamente che gli piacerebbe comprare l’Alfa. Seguono trattative riservate per quattro mesi (scrive la filiale europea di Automotive News, bibbia di Detroit), si parla perfino di cifre, 2 miliardi di euro, ma poi tutto finisce nel nulla. Nel marzo del 2011, Marchionne, indispettito dai tedeschi o più probabilmente perché non è riuscito a concludere come avrebbe voluto, sbotta al Salone di Ginevra: l’Alfa Romeo non si venderà alla Volkswagen «finché sarò Ceo», cioè presidente-amministratore delegato del gruppo.
Ora, dopo le promesse non mantenute su Fabbrica Italia e le vignette di stampa tedesca che gli danno del Pinocchio, nessuno si stupirebbe se la questione Alfa venisse da lui rimessa in discussione. Fingendo di cedere, per esempio, a una moral suasion del governo e dei sindacati in tempi di crisi nera. Certo, la cessione di un marchio internazionale come l’Alfa non sarebbe un bel segnale per il ritorno in borsa della Chrysler, ma i numeri per ora sono altri: 115.000 Alfa vendute a fine 2010 invece delle 300.000 programmate, 155.000 nel 2011 con obiettivo 2014 di 400.000, tagliato dall’iniziale mezzo milione. Un flop.
Il Corsera torna alla carica su Alfa-Volkswagen nel febbraio scorso e Marchionne in una intervista si spiega meglio: «Non la vogliamo vendere. E in ogni caso Piëch vorrebbe solo il marchio». Incalza l’intervistatore: non si prenderebbe un sito produttivo? «So quel che dico». Da mandare a memoria, almeno tra i sindacati.
Dietro ancora, nella storia potrebbe entrare un’altra partita di giro, più industriale e dunque non ideale per Marchionne. Il Lingotto cede l’Alfa, Volkswagen libera la Suzuki, alleanza finita malissimo in un tribunale di Londra, su cui balla anche un 20% di azioni del gruppo giapponese che Wolfsburg non vuole ridare indietro. O con noi, o con nessuno. O con: per Marchionne, Suzuki sarebbe una operazione senza esborso di soldi (qui è maestro, come con Chrysler) e partner ideale, il terzo polo in Asia che non ha. Diventerebbe un player globale? Oggi non lo è, Corsera dixit.
Lo spread tedesco di Marchionne
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