Dunque la Fiat potrebbe annunciare alla fine di ottobre la chiusura di una fabbrica in Italia. Non sarebbe sola in questo tipo di provvedimenti, anche se Sergio Marchionne ancora venerdì scorso ha accusato i costruttori tedeschi di non fare fronte comune a Bruxelles affinché la Commissione europea aiuti il settore. I francesi di Psa (Peugeot-Citroen) hanno già deciso la chiusura di Aulnay entro il 2014, la Opel e la Ford starebbero lavorando sulla stessa decisione rispettivamente per gli stabilimenti di Bochum, in Germania, e di Genk, in Belgio. Negli ultimi cinque anni, le vendite di auto in Europa sono scese, e al 31 dicembre prossimo gli analisti di AlixPartners calcolano che sul Vecchio continente potrebbero essere state piazzate 800.000 auto in meno rispetto al 2011. Una cifra equivalente alla produzione più o meno di tre fabbriche che girano all’80% della capacità, soglia sotto la quale il produttore va in perdita. Ma a quel livello arriverebbero oggi solo i gruppi tedeschi, secondo gli analisti, mentre Fiat è sotto il 50%, la Ford, la Opel e Psa intorno al 60%. A questo appello al massacro, insomma, potrebbero mancare altri siti.
Dopo la chiusura di Termini Imerese in Sicilia, il gruppo Fiat ha cinque fabbriche in Italia. Marchionne ha sostanzialmente cancellato il piano Fabbrica Italia dell’aprile 2010 – 20 miliardi di investimenti e una produzione più che raddoppiata entro il 2014. Il nuovo piano prevede lacrime e sangue, da far versare agli operai forse di Cassino, dove l’azienda non ha più investito da tempo e dove la produzione del segmento C potrebbe essere spostata nella vicina fabbrica di Pomigliano. O forse da quelli di Melfi, dove la produzione di segmento B potrebbe subire lo stesso trasferimento a Pomigliano. O forse da quelli di Mirafiori, diventata una cattedrale nel deserto senza modelli e tanta cassa integrazione, ma troppo fabbrica-simbolo del gruppo italiano per cadere così. L’alternativa, se contemplata o se il governo Monti fosse in grado di esercitare qualche pressione, potrebbe essere un ulteriore allargamento della cassa integrazione. L’azienda risparmierebbe, senza risolvere il buco europeo e puntando quasi esclusivamente per un paio di anni ancora sulla Chrysler e i mercati americani e sugli utili dalla Russia e dall’Asia. Per dare un termine di grandezza sul risparmio da cassa integrazione, può valere quanto scritto (senza smentita) da Automotive News Europe, secondo cui un giorno di cassa integrazione per i 5.000 dipendenti del quartiere generale del gruppo a Torino riduce i costi aziendali di un milione di euro.
In Francia, Psa si è vista confermare la sua decisione di chiudere Aulnay (dove lavorano 3.600 persone) e il licenziamento complessivo di almeno 8.000 da un analista incaricato dal governo di suggerire una soluzione alternativa. Con l’aggravante, per gli operai, che al potere c’è un presidente socialista e che il ministro per il rilancio produttivo (altro socialista) sta chiedendo con nonchalance che Psa farebbe bene a chiudere una fabbrica a Madrid piuttosto che quella alle porte di Parigi. In Germania, la Opel potrebbe cancellare Bochum, 3.100 dipendenti; la Frankfurther Allgmeine Zeitung ha scritto anche di 1.000 (30%) impiegati da licenziare nel quartier generale a Russelsheim. Il presidente della Ford Europe (almeno 1 miliardo di perdite previste nel 2012), Stephen Odell, ha incontrato mercoledì 12 settembre a Colonia i sindacati di tutte le fabbriche e ha detto loro che non è in grado di rassicurare nessuno. Meno che mai quelli di Genk, in Belgio, fabbrica che potrebbe essere chiusa secondo il Wall Street Journal Europe. Magari spostando tutta la produzione della nuova Mondeo e delle prossime S-Max e Galaxy a San Pietroburgo? Sulla nuova Mondeo, come ho già scritto qui parlando con due top manager di Ford Europe, è infatti giallo su quando sarà venduta: pare un anno dopo la presentazione al prossimo Salone di Parigi di fine mese, troppo in là perché la fabbrica di Genk non sia effettivamente a rischio.
Fabbriche a rischio, le Fiat e le altre
Commenti
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la fiat deve andare via dall’Italia. questa è la mia opinione. perchè un imprenditore come marchionne deve pensare al guadagno perchè la sua è una società per azioni. e se lo Stato non salvaguarda ne i cittadini ne le aziende imponendo tasse e servizi inesistenti , la FIAT ha l’obbligo di lasciare il paese e trasferirsi in paesi dove il mercato è onesto e equo. Dispiace per i lavoratori che verranno licenziati, ma d’altronde lo Stato non da più garanzie ne al settore industriale ne ai cittadini…alla fine nessuno si lamenterà. alla fine dopo qualche malumore tutto si aggiusterà, e tornerà la pace. Come professa la chiesa cattolica. fortunatamente in italia tutti porgeranno l’altra guancia.
Gianci.