I numeri, nel mondo dell’auto, sono molto, molto importanti. Ma bisogna saperli leggere perché non sempre raccontano la verità.  Prendete il caso del mercato italiano dell’auto di settembre, chiuso con 106.363 immatricolazioni, come dichiarato dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti.

A tre giorni lavorativi dalla fine del mese, il mercato era ancora fermo a 57.500 targhe. Quel rush (a proposito, avete visto il film? Per chi, come me, da cronista quei duelli li ha vissuti in prima persona, il film di Ron Howard è roba forte) che ha caratterizzato la fase conclusiva del mese ha il solito sapore strano della manipolazione. 48.904 immatricolazioni il 26, 27 e 30 settembre, con una percentuale del 46% sul totale non può essere roba vera. O meglio, è roba vera ma falsa.

In quelle immatricolazioni finali ci sono infatti un bel quantitativo di Km0 e di demo car, auto che le Case cedono con sconti magici alle concessionarie per le prove dei clienti. Insomma, sono numeri che finiscono nel pallottoliere del mercato, ma che con il vero mercato, quelle delle auto vendute a cliente finale, cioè a colui che paga in contanti o a rate tenendo in piedi la baracca, non hanno nulla a che vedere.

E sì, perché hai voglia a sostenere che le Km0 sono un ulteriore modo di vendere automobili che è la tesi di chi le km0 le difende a spada tratta per ragioni legate al proprio business o per pura passione polemica. Possiamo condividere il concetto secondo cui, pur incidendo a nostro avviso sull’immagine di marca, alla fine trovano molti clienti giustificandone l’esistenza come ulteriore marginalità dei numeri di vendita. Però è la ricaduta statistica che ci lascia perplessi.

Sarà bene ricapitolare: le Km0 sono vetture immatricolate dalla Casa costruttrice o dal concessionario e poi vendute – in un secondo tempo – come usato al cliente finale. Così accade che queste non-vendite finiscano (oltre che sui piazzali delle vetture in attesa di clienti) in tre conteggi statistici: ordini, nuovo, usato. Ed è già una deformazione della realtà, gonfiando gli ordini reali, aumentando fittiziamente le vendite effettive,  incidendo falsamente sul mercato dell’usato.

Eccoci dunque al perché della nostra contestazione: le km0 inquinano tutte le statistiche, narrando bugie sulla vera entità delle auto vendute,  disegnando un quadro irreale della salute del mercato, che oggi sarebbe assai più drammatico di quello che già è, visto che, mal contate, le km0 immesse sul mercato dei primi 8 mesi del 2013 sono state almeno  95.000. E aggiungo, a completamento del quadro, che nei primi 8 mesi le vendite degli ultimi tre giorni  – dove in mezzo ai veri contratti si annidano le ormai troppo citate km0 – ammontano a 287.530 unità, ovvero al 39,3% di tutte le auto immatricolate. Come termine di paragone che conferma la mostruosa crescita di questa fetta finale di mercato, ricordiamo che in Italia nel 2007, anno record delle vendite (2.485.233 targhe consegnate), la quota degli ultimi 3 giorni superò di poco il 27%.

Ora, chi sostiene che le km0 hanno diritto di asilo nel mercato dell’automobile ha il dovere di rispondere ad una domanda: perché non trovano collocazione nelle statistiche generali delle vendite, come invece accade per i privati, per i noleggi e per le società? Insomma, questo quarto mercato esiste ma non deve avere un riconoscimento ufficiale, cosa che accade in Italia ma non in Germania, dove sono statisticamente registrate come “auto del giorno dopo”. Ciò non deve stupire: a noi italiani, si sa, piace la regola del “si fa ma non si dice”.

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