Il Wcm, World Class Manifacturing, è il sistema di produzione Fiat che, dopo l’accordo con Veba, sarà applicato adesso a tutte le fabbriche del gruppo Chrysler. In cambio, il fondo del sindacato Uaw riceverà 700 milioni di dollari in quattro anni dall’azienda. Il Wcm prevede anche una metrica del lavoro più faticosa, cosa che preoccupa non poco Ken Lewenza, fino a due mesi fa presidente del sindacato canadese Caw, per quattro anni faccia a faccia con Marchionne. L’ho intervistato per Il Mattino, ma ne sintetizzo qui una parte perché le sue parole sono un monito, anche per i lavoratori in Italia della Fiat.

Lewenza fa certamente i complimenti a Marchionne: “E’ un osso duro nelle trattative, perché è assistito da un vantaggio psicologico non indifferente: obbedisce a un’etica di lavoro impeccabile, addirittura ossessiva nell’esame dei dettagli . Si può combattere contro di lui, ma è impossibile non portargli rispetto”.

Cosa pensano i lavoratori dell’accordo? “C’è orgoglio per essere arrivati alla stabilità odierna, e c’è per la prima volta in diversi decenni la sensazione di poter crescere, collettivamente ma anche nella promozione individuale. Ma c’è anche un livello di tensione superiore rispetto al passato nell’esecuzione del lavoro”.

Si riferisce al Wcm, gli chiedo? “Esattamente. La transizione è stata molto faticosa e continua a causare frizione tra gli operai e i manager. La nuova direzione pretende una flessibilità assoluta e permanente sulle linee di assemblaggio, per raggiungere l’obiettivo di una superiore  produttività. Ma al lavoro ci sono sempre uomini, con la loro esigenza di stabilità e di verifiche, che spesso si trovano a cozzare contro interventi che sembrano irrazionali e capricciosi”.

Lewenza non vede nerissimo, ma nero sì. Alla domanda se Fiat e Chrysler insieme riusciranno a rilanciare la produzione e dunque a garantire più lavoro,  mi risponde così: “Ce lo auguriamo tutti. Il mercato nordamericano può certamente fornire nuovi spazi di crescita per la Chrysler e per i modelli Fiat importati negli Usa. Ma l’idea che la crescita si traduca in aumento di posti di lavoro, questa purtroppo è solo un sogno”. Avvierebbe oggi un suo nipote al lavoro in fabbrica, come hanno fatto le generazioni precedenti? “No, è un lavoro dal futuro limitato, specialmente nei paesi industriali maturi, dove il declino della produzione mi appare inevitabile”.

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