Uber mette le ali. La quotazione, secondo quanto riporta il Wall Street Journal, della compagnia americana sarebbe arrivata a 17 miliardi di dollari. Non entro nel dettaglio anche se la valutazione mi sembra eccessiva. Voglio invece raccontare il punto di vista di un tassista (credo) espresso su Dagospia.

In particolare mi sembra interessante il ragionamento fatto sui prezzi: la liberalizzazione di un servizio, prefigurata da Uber, è reale liberalizzazione quando tutti possono fare il prezzo che vogliono. O quello di mercato. Uber con la sua app lo può fare, l’Ncc (soprattutto con licenza fuori città, come avviene a Roma) anche, il taxi ufficiale no: “I taxi hanno un tassametro piombato”, ricorda chi scrive su Dagospia. Il risultato è chiaro: nelle ore di morbida, quando il taxi è costretto a stare fermo delle ore nel parcheggio, Uber può raccogliere quella poca domanda presente sul mercato con sconti che il tassista non può fare. A Roma per le elezioni Uber offriva uno sconto del 50% sulle tariffe. E’ dumping e non deve essere consentito.

Il libero mercato è veramente libero solo se i concorrenti sono messi nelle condizioni di lavorare nelle stesse regole. Tanto più se in condizioni estreme, quando la richiesta è straordinariamente elevata, Uber può aumentare il prezzo del servizio: leggete cosa è accaduto a New York durante l’uragano Sandy a fine 2012. Non è quindi solo una “semplice” sfida tecnologica: nascondere tutto dietro una app non basta. Ci sono compagnie, ad esempio la Samarcanda di Roma, che consentono la prenotazione di un taxi su internet, di pagare con carta di credito, di avere il wifi a bordo, pur nel rispetto di quel “tassametro piombato”.

Una precisazione necessaria in una tempesta di comunicazione che sembra premiare, forse più del dovuto, Uber. Senza per questo giustificare gli atti violenti di Milano. A questo punto la palla passa alla politica e al regolatore per norme uguali per tutti. Solo così è concorrenza vera. Solo così ci sono reali benefici per gli utenti.

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