UberPop sbarca anche nella città della Fiat, dopo Milano e Genova. Come la Fiat o meglio FCA, UberPop è una “fusione”: fra un driver e un passeggero attraverso un algoritmo e una applicazione sul proprio cellulare intelligente. A Torino ho bisogno di andare dal Lingotto a Mirafiori? Tramite l’app, cerco un passaggio su UberPop cui risponderà un privato cittadino (il driver) che si è registrato (patente, più di 21 anni, fedina penale pulita). Il quale mi darà un passaggio per 5 euro (cifra concordata). Se siamo in due, spenderò 2 euro e mezzo. In tre meno ancora.

Conveniente? Accidenti, se si condivide un passaggio in città, perfino l’autobus sarà più caro. UberPop, piattaforma nata in California con Uber su cui hanno investito colossi come Google e che varrebbe 17 miliardi di dollari di dollari,  ha scoperto l’acqua calda, si dirà.

Ma è riuscita a dare una forma all’acqua (calda). Un business, un servizio pubblico altro, una sfida al servizio pubblico regolamentato quanto chiuso come i taxi, una sfida all’integrazione della mobilità, una rivalsa contro l’auto privata, nel senso che ne circola una per educarne cento a non circolare inutilmente.

“Pensare a città dove ognuno si muove con la propria macchina non è più sostenibile”, dice Benedetta Arese Lucini, general manager di Uber Italia. Ma non è così semplice. Chiaro che il risparmio in termini di ambiente c’è. Come di soldi per gli utenti: UberPop (diverso da Uber, che funziona come un taxi di alto livello e già fa concorrenza spietata ai  tassisti di tutto il mondo) ha tariffe popolari non solo a Torino ma anche a Genova o a Milano, dove dal centro città bastano 35 euro per farsi portare a Malpensa o 8 euro per andare da Porta Genova alla stazione Centrale.

UberPop è una mobilità sovvertitrice, perché affonda le poche certezze di chi fa servizio pubblico, sicuramente ruba lavoro e di questi tempi è dura, però fa quello che tutti noi consumatori sogniamo: spendere meno in cambio di una mobilità corretta. Una scelta verticale.

Benedetta insiste sul concetto di “inclusività”, ma il messaggio – soprattutto in tempi grigi per l’economia e il lavoro – è difficile da far passare (non per caso al quartier generale di San Francisco hanno rafforzato – eccome – la comunicazione). A Parigi, UberPop si è beccata il mese scorso una multa da 100.000 euro per essersi fatta pubblicità come carpooling e non come servizio taxi sostitutivo: giusto o sbagliato? A Berlino una sentenza ha prima fermato Uber, poi un cavillo le ha  ridato via libera.

Guerra, guerriglia urbana con altri mezzi, non si fermerà. Nemmeno in America dove Uber è nata.

 

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