Alfa Romeo, quale che sia il nuovo modello che Marchionne sventolerà oggi a mo’ di bandiera del rilancio del marchio milanese, la domanda resta una sola: sarà la volta buona? “Nessuno sa come, ma a volte succede nel mondo dell’industria che da un’azienda malmessa, un po’ incerta sulle gambe, con poche risorse, escano dei prodotti straordinari, delle autentiche invenzioni che, da un giorno all’altro, modificano con il loro successo lo stato di salute e le prospettive dell’impresa”.

Il virgolettato – preso arbitrariamente in prestito e da auspicio per la nuova Alfa Romeo – era stato scritto per l’Alfa Romeo Giulietta, uno dei simboli della ripresa italiana nel dopoguerra. L’autore è Rinaldo Gianola, cui si deve forse il libro più bello sulla storia del marchio, “Luraghi, l’uomo che inventò la Giulietta”. Ora siamo a una nuova avventura del Biscione e al volante al posto di Luraghi c’è Marchionne.

L’Alfa Romeo resta ancora una storia assai incerta: due soli modelli un po’ invecchiati in vendita, meno di 70.000 vetture vendute l’anno scorso e quest’anno anno andrà peggio (il nuovo modello svelato oggi ad Arese sarà sul mercato non prima della primavera 2016), obiettivi di trasformare l’Alfa in un marchio premium in competizione con Bmw, Audi e Mercedes e di vendere 400.000 unità  entro il 2018. Traguardi ai quali in troppi non credono (non crediamo), a cominciare dagli analisti di IHS.

Alfa Romeo, nel giorno del suo rilancio (si comincia sempre dalla comunicazione) mi  fa tornare in mente le parole sprezzanti usate da Gianni Agnelli nel 1986 quando comprò il Biscione dall’Iri beffando la Ford: “Ci siamo annessi una provincia debole”.  Marchionne sprovincializzerà l’Alfa Romeo?

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