Lee Iacocca festeggia i suoi primi 90 anni il prossimo 15 ottobre. Il super celebrato manager dell’auto di origine italiana non parla da anni con media italiani, ma per Carblogger.it (complice un amico comune) ha deciso di fare una eccezione. Iacocca è una leggenda vivente, non solo per quella che l’economista Peter Drucker definì una volta per sempre “l’industria delle industrie”. Un uomo con almeno due vite: una in Ford, una seconda ancora più famosa in Chrysler che salvò dalla bancarotta con l’aiuto di soldi pubblici come ha fatto nel 2009 Sergio Marchionne. Per chi volesse sapere di più sulla sua lunga storia, qui il link di Wikipedia, buono pur se incompleto.
Dalla sua casa di Bel Air a Los Angeles (nella foto con l’amico industriale Maurizio Marini), Iacocca ha risposto ad alcune domande che Alessandro e io gli avevamo mandato prima di partire entrambi in America per luoghi e motivi di lavoro diversi. Al nostro ritorno a Roma, abbiamo trovato una gradita mail.
“Costa un sacco di soldi guidare un gruppo automobilistico, di conseguenza costa molto aiutarlo quando le cose vanno male”, ci dice Iacocca quando gli chiediamo perché mai lo stato debba salvare l’auto privata, come è successo con la sua Chrysler nel 1979 per la quale ricevette prestiti federali per 1,5 miliardi di dollari restituiti con sette anni di anticipo. Stessa strada che esattamente 30 anni dopo ha intrapreso Marchionne, anche lui capace di restituire i soldi pubblici in anticipo.
“Penso – ci dice ancora Iacocca quando gli ricordiamo quel che ha fatto il manager italiano – che i governi dovrebbero essere molto attenti quando prestano soldi. E’ importante che ci siano garanzie serie e un vero piano industriale. Come sapete anche voi, quando stavo in Chrysler sono riuscito a dare indietro i soldi in un tempo record. Quel che è meno noto è che la società fu salvata grazie a un enorme lavoro di squadra. Tutti quelli che lavoravano alla Chrysler e avevano avuto benefici negli anni precedenti si batterono per rimetterla in pista!”.
Se c’è una cosa che a Iacocca non è mai mancato è l’orgoglio, una delle cose che davano un certo fastidio a Henry Ford II che infatti un giorno lo licenziò. L’auto di Detroit è ripartita bene dopo la grande crisi, sia Chrysler che Gm e Ford. Ma quanto durerà? “L’industria americana – ci dice ancora Iacocca – ha i suoi alti e bassi e il suo successo dipende non solo da chi è alla guida ma dall’umore del paese e naturalmente anche dall’andamento dell’economia mondiale. Le Big Three sembrano cambiare posizione periodicamente, chi sta al comando è però chi è capace di fare il prodotto che la gente vuole. Ma di questi tempi la gente è molto più volubile di una volta e non esiste più la fedeltà al marchio che c’era una volta”.
Insomma, ci sembra un po’ pessimista sul futuro radioso delle tre Big. Parlando di prodotto, Iacocca crede all’auto elettrica? Marchionne per esempio no, perché per ora non è redditizia: “Quando mi sono ritirato (1992, ndr) ho lavorato per la Gm per costruire biciclette elettriche. Ma il paese non era pronto allora. Adesso tutti costruiscono auto elettriche, perché la gente è pronta”. Ok. Meno male. Sergio ascoltalo.
Iacocca non ha soltanto l’anima del venditore, dell’uomo che sa annusare il mercato. Quando gli chiediamo infine cosa ne pensa della concorrenza asiatica, se siano più temibili per Detroit i giapponesi, i coreani o prossimamente i cinesi, ritira fuori l’orgoglio della corporation a stelle e a strisce e li bastona tutti, mandando un messaggio anche alla Volkswagen nei guai con Uaw nel Tennessee: “Sentite, mi sono occupato di industria dell’auto per molti anni, ora sono soltanto un osservatore. Ma posso ancora dire che quando le aziende non hanno relazioni con i sindacati, non pagano bene i lavoratori, non coprono le spese sanitarie e non offrono altri benefits, esse costruiscono certamente macchine per molto meno. Ma riescono a produrre auto migliori? Penso che la gente saprà giudicare meglio di tutti noi”.
[…] Bene, se siete arrivati fin qui, non vi resta che fare clic sulle parole di Lee Iacocca. So long, Lido. […]