1.500 yuan al mese sono 220 dollari. Troppo pochi per lavorare in modo forsennato e non mettere quasi nulla da parte. Da qui e da molto altro è partito lo sciopero in una delle quattro fabbriche della Honda in Cina, subito esteso agli altri tre stabilimenti. Le richieste degli operai, per ora bocciate, cominciano da una busta paga diversa, di almeno 2000/2500 yuan (l’equivalente fra i 300 e i 366 dollari). La Honda è stato il primo costruttore straniero, operante in joint venture con aziende cinesi come vuole la legge, a esportare dalla Cina in Europa (Honda Jazz, berline di segmento B), grazie anche ai bassi costi di produzione. La Cina è diventato l’anno scorso il primo mercato mondiale dell’auto ed è destinato a rimanerci. E il ministero delle Finanze ha appena annunciato che il governo intende concedere fino a 50mila yuan (6mila euro) per l’acquisto di un veicolo ibrido e fino a 60mila yuan per uno con la sola alimentazione elettrica. Il programma sarà lanciato inizialmente a Shangai, Hangzhou e Hefei, a nord del Paese, a Changchun, nel nordest, e a Shenzen, a sud. Nessuna precisazione sulla data e la durata dell’iniziativa. Ma dietro tanti primati, ricordiamo che ci sono condizioni di lavoro pazzesche, come alla Honda. E non solo nell’automobile. Anche se in questi casi è più facile che le autorità facciano circolare informazioni, trattandosi di aziende straniere, mentre su quelle locali cala il sipario.

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