Essere o non essere non è il problema di Elon Musk. Essere o non essere è l’assunto shakespeariano che vale solo per noi, per chi cerca di interpretare e spiegare le decisioni di un imprenditore asimmetrico di successo. Sulla base delle sue intuizioni, forzature, prodotti, cazzate. Quanto bisogna credergli?

(Non fate come i suoi grandi azionisti – gli stessi che adesso sono seduti su miliardi di perdite con il calo in borsa del titolo di circa il 30% – che nel 2018 hanno approvato un compenso di 56 miliardi (!) di dollari per lui sulla scorta di obiettivi giudicati ampiamente irraggiungibili. Musk li ha centrati tutti l’anno scorso e ora vuole giustamente i suoi soldi. Un giudice del Delaware glieli ha negati e così ha chiesto all’assemblea dei soci di trasferire la sede fiscale di Tesla dal Delaware in Texas dove ha già il quartier generale.

Ma non fate nemmeno come lui che nel 2011, in una intervista a Bloomberg, si era messo a ridere quando gli avevano chiesto se Byd fosse rivale di Tesla. Oggi ci ha ripensato: i cinesi sono super e ci seppelliranno. Te credo: basta dare una occhiata a un report di Bernstein di marzo, secondo cui dopo la Model S dal 2011 Tesla ha lanciato sul mercato 4 modelli, Byd nello stesso periodo 54 solo fra elettriche e ibride plug-in. C’è molto altro da considerare nella partita ancora aperta e ci tornerò, però che numeri).

Il 23 aprile gli analisti si aspettano da Musk una brutta trimestrale di Tesla: dopo un anno di sconti radicali e di rinuncia a parte dei profitti, ora si ritrova come i competitor un mercato mondiale delle elettriche in frenata, Cina compresa. Il che fare è leninista, non maoista verso cui Musk propende per motivi di affari, intanto taglia posti di lavoro. Nell’occasione, c’è anche da capire – sempre che risponda alla domanda – il destino della Model 2, la Junior di Tesla, la piccola (all’americana, intorno ai 4,50 metri di lunghezza e con linee spinte da crossover). Reuters sostiene che l’abbia cancellata, Musk ha replicato con “Reuters bugiarda”. E ha rilanciato annunciando per l’8 agosto la prima visione di una Tesla a guida autonoma.

Essere o non essere, Musk non ha mai amato la sua Junior stando a quanto raccontato ai biografi dall’inner circle, ma solo perché nel business lui è capace di vedere oltre quel che gli altri vedono. Prendetevi la biografia scritta da Walter Isaacson e andate al capitolo in cui i suoi raccontano di averlo convinto a fatica a dare la precedenza alla Model 2 al posto del veicolo a guida autonoma, sviluppato sullo stesso nuovo pianale in contemporanea.

Non mi stupirei se Musk avesse rinviato la Model 2 perché il mercato di auto elettriche da 25mila dollari in cui tutti si stanno buttando (in euro dalle nostre parti) serve solo a generare volumi e a creare economie di scala, non certo a essere redditizio. Mentre l’auto a guida autonoma, intesa per adesso più come robotaxi che per privati, è oro vero. Ecco cosa dice testuale a Isaacson: “Trasformerà tutto. E’ il prodotto che farà di Tesla un’azienda da 10.000 miliardi di dollari. Fra cent’anni la gente parlerà ancora di questo momento”.

Eccitato ed eccitante, anche se credo che alla fine la Tesla Junior (mi piace chiamare così la Model 2 dopo quella sorta di Sturm und Drang all’amatriciana fra Stellantis e governo italiano sulla Milano) arriverà in un futuro indefinito: futuro presente e prossimo non appartengono alla coniugazione del personaggio. Sul palcoscenico del mondo, avrebbe detto Shakespeare, va così.

@fpatfpat

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