“Come la vedi la questione Fiat?”. La domanda ci arriva da più parti, compreso un top manager di un colosso straniero non certo disinteressato. Non essendo dentro la testa dell’amministratore delegato Sergio Marchionne (come oggi non risulta essere la maggior parte del suo staff) è difficile dare una risposta precisa. Mettiamo però insieme i fatti, finendo con i conti del cda Fiat tenuto significativamente il 21 luglio ad Auburn Hills, in casa Chrysler.
La Fiat ha licenziato un operaio a Termoli, dopo i tre di Melfi e un altro a Mirafiori. Azioni in odore di vendetta, dopo la sconfitta subita dall’azienda a Pomigliano ed essendo i licenziati tre della Fiom e uno dei Cobas, cioè i sindacati usciti rafforzati dalla prova di forza imposta nello stabilimento campano. Finora, Marchionne aveva evitato lo scontro con i lavoratori, consapevole che non sarebbe convenuto a nessuno. E non è un caso che la resurrezione del gruppo sia coincisa con questo periodo di confronto aperto.
Il cambio di marcia di Marchionne è avvenuto con il piano quinquennale annunciato il 21 aprile scorso, con obiettivi di crescita difficili da digerire senza se e senza ma: 3,8 milioni di vetture del gruppo Fiat prodotte entro il 2014, dalle 2,3 del 2009. Un piano che comprende la controllata Chrysler e che nasce su un patto di sangue con il presidente americano, affinché nel 2014 anche l’azienda americana sia a posto e il prestito federale restituito. Ma per portare a casa questo duplice obiettivo, Marchionne deve scalare montagne. Per questo è improbabile che imbarchi a breve un altro partner automobilistico, per questo ha accelerato lo spin off delle due Fiat (il cda lo ha approvato, operativo dall’1 gennaio 2011, insieme a conti positivi, +92 milioni di euro di utili nel primo semestre, +113 nel solo II trimestre), per questo oltreceano spinge per il ritorno in borsa di Chrysler (sarà nel 2011).
La logica dello scontro negli stabilimenti italiani rischia di rallentare una marcia che già di suo non può essere trionfale, vista la competizione globale. Né sono i tempi di Valletta o di Romiti, come si è visto nell’altra marcia fallita pro-accordo di Pomigliano alla vigilia del referendum. Marchionne va allo scontro tipo, la va o la spacca? Nella realtà non può lasciare il gruppo, almeno finché non ha pagato i debiti alla Casa Bianca. Dopo, però, tutto è possibile. La nuova Fiat a quattro ruote indipendente (separata da Fiat Industrial Spa) resta in mano a eredi Agnelli pronti a liberarsi dell’auto. In fondo sempre meno redditizia e con molti più problemi del resto del loro piccolo impero.