Il sistema italiano deve superare lo scontro “operai-padrone“. Altrimenti (non lo ripete ma l’ha detto già due volte) meglio sbaraccare e andare a produrre all’estero. Parola dell’amministratore delegato della Fiat Sergio Marchionne, il quale vede un mondo nuovo senza più conflitti e liberamente regolato dalla globalizzazione, che purtroppo si fermerebbe alle Alpi. Il suo è un vero ragionamento di classe, che  segue di poche ore l’incredibile affermazione del ministro Giulio Tremonti, secondo cui “robe come la 626 (la legge sulla sicurezza sul lavoro) sono un lusso che non possiamo permetterci. Sono l’Unione europea e l’Italia che si devono adeguare al mondo”.  Due punti di vista di persone lontane politicamente, quanto pericolosamente coincidenti.

Ma davvero Marchionne pensa di raggiungere i suoi obiettivi aziendali con la fine unilaterale della lotta di classe in Italia e buonanotte? Alla controllata Chrysler gli operai hanno firmato un contratto che vieta gli scioperi fino al 2014, ma poi chissà. E chissà cosa potrebbe succedere negli stabilimenti brasiliani della Fiat o in quello serbo della Zastava, se per caso la lotta di classe non fosse davvero finita, o semplicemente la crisi tornasse a mordere. In Serbia c’è una spia accesa: il 9 settembre i lavoratori delle costruzioni scenderanno in sciopero per chiedere un miglioramento delle loro condizioni. E’ l’unico modo che hanno per farsi sentire, evidentemente. Nel nuovo mondo di Marchionne, che farebbero, lì come a Melfi?

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