Ammetto di non aver scritto subito sulle parole di Sergio Marchionne a Fabio Fazio di domenica sera, perché quelle poche e a caldo di Luciana Litizzetto mi erano sembrate esaustive. A memoria:  possibile che uno che fa affari a livello mondiale e si accorda con Barack Obama, non ha uno straccio di idea per salvare la fabbrica di Termini Imerese? La valanga di reazioni mi induce a pensare che nel sentire comune, la Litizzetto abbia dato un’ottima linea di interpretazione di quel che accadendo.

Vale la pena aggiungere solo tre osservazioni: 1) se Marchionne non guadagna un euro in Italia, la colpa è dei modelli invenduti, non della bassa produttività dei lavoratori. Basta prendere una qualsiasi rilevazione statistica e si vedrà che le auto del gruppo più vendute sono soltanto quelle prodotte in Polonia, cioè Fiat Panda e 500; 2)  sulla credibilità della promessa di aumentare i salari degli operai italiani a livello di quelli dei paesi vicini, basta riportare quanto scrive Gallino e sottolineare invece come lo stipendio dell’amministratore delegato (4,79 milioni di euro, 2009) sia già in linea con quello dei top manager di gruppi limitrofi: 6,6 milioni di euro per Martin Winterkorn, a capo del gruppo Volkswagen (però gestisce 10 marchi e il numero due mondiale dell’auto) ;  1, 24  milioni di euro per Carlos Ghosn a capo di Renault, più altri 8 dal Giappone per la controllata Nissan; 3) Marchionne ha scelto la platea vasta e progressista di “Che tempo che fa” per far sapere in modo amplificato cose già dette agli analisti. Che sia un modo per preparare la sua exit strategy non avendo ancora investito in Italia quasi nulla dei 20 miliardi di euro annunciati entro il 2014? E, dopo così tante e variegate reazioni negative, cosa ne pensa l’azionista di riferimento? Non sarebbe ora che John Elkann dicesse la sua?

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