L’industria dell’auto mondiale, in particolare quella tedesca e più in generale quella dei marchi di lusso, ha presentato semestrali brillanti.  Perfino i due costruttori americani in bancarotta due anni fa, la Chrysler di Sergio Marchionne e la Gm, hanno sfoderato bilanci impensabili fino a poco tempo fa. Ma quali sono le prospettive oggi, al tempo di politiche restrittive in Europa e negli Stati Uniti, di borse in fumo come fossero le strade di Londra o di Manchester, di rischio di nuova recessione come nel 2007/2008?

Partiamo dalla Fiat-Chrysler di Marchionne, che ci riguarda più da vicino. Il titolo del Lingotto ha perso la metà del suo valore dal giorno dello spin off, il 17 gennaio, crollando dal 8,18 per azione al minimo di martedì scorso, 4,60. Se partiamo dal 31 dicembre 2010, quando Fiat e Fiat Industrial erano una sola entità, la perdita di valore è stata complessivamente di circa il 30%. Le previsioni di mercato in Europa per l’automobile restano negative, con la sola eccezione finora della Germania, che ha chiuso luglio a +10%.  La Chrysler nei primi sette mesi dell’anno ha aumentato le vendite del 19% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, ma va anche detto che partiva dal grado zero della bancarotta, preceduto dalla non gestione dei marchi di Auburn Hills dell’ex proprietario fondo Cerberus.  Marchionne per primo ha già tirato il freno: negli Usa, ha detto, il mercato potrebbe chiudersi a 12,7 milioni di unità e non a 13/13,5 milioni, che è il consensus degli analisti (11,5 nel 2010).  E oggi, in piena bufera, non è nemmeno detto. Il rischio di nuova recessione negli Stati Uniti poggia su solidi argomenti, tra i quali 1) una crescita dello 0,3% nel secondo trimestre e una previsione di un misero +1,6% nel 2011 ; 2) il calo dei consumi privati per la prima volta nel giugno scorso; 3) una disoccupazione altissima, al 9,1%; 4) un’Amministrazione commissariata dai repubblicani, come si è visto il 2 agosto scorso nel voto per innalzare il tetto del debito. Marchionne sa che, in caso di recessione, a essere più colpiti saranno i titoli industriali, e infatti allontana sempre più nel tempo il ritorno in borsa di Chrysler (forse non più nemmeno nel 2012, ha detto dieci giorni fa). Per contro, diversificare gli investimenti nei paesi dove la parola crescita ha ancora un senso, come la Cina e i quelli del Bric, può aiutare; e infatti da Fiat è arrivata l’altro giorno in borsa la conferma dell’investimento di circa 1,5 miliardi di euro per una seconda fabbrica di auto in Brasile, lì da dove provengono gli utili che coprono i rossi di bilancio del gruppo.  Anche se nulla sembra luccicare più come prima: in luglio, in Cina le vendite di auto sono aumentate del 6,7%, un boom per i nostri occhi occidentali ma non più aumenti a due cifre come è stato fino a pochi mesi fa. Per ultimo, anzi per primo, c’è la domanda: ma come farà l’auto ad andare (con obiettivi stellari per Fiat-Chrysler fissati al 2014), se i consumi sono fermi o si stanno fermando, perché la gente non compra più, a partire dall’America dove i tassi d’interesse sono pure quasi a zero e lì resteranno fino al 2013? Aggiungo questa riflessione del direttore di Interautonews, che va letta fino in fondo.  Con l’avvertimento che siamo solo all’inizio.

Lascia un commento