Toyota, Nissan e Honda – insieme alla maggior parte delle imprese del paese – hanno aumentato i salari dopo anni di buste paghe ferme. Il piano di aumenti, in vigore dal prossimo 1 aprile, è stato di fatto imposto da quella che il premier Shinzo Abe ha chiamato “offensiva di primavera sul lavoro”: per portare il paese fuori dalla crisi e da una deflazione lunga quindici anni, bisogna mettere più soldi in tasca ai consumatori.  E’ l’ultima regola in ordine di tempo della cosiddetta Abenomics, la politica di stimoli all’economia che si basa anche su una aggressiva svalutazione competitiva dello yen.

Le imprese guadagnano molto di più grazie a un cambio favorevole? Aiutino il paese a uscire dalla crisi. Il prossimo bilancio record della Toyota per l’anno fiscale che si chiude il 31 marzo prevede per esempio una svalutazione dello yen sul dollaro del 9%, una montagna di soldi. Cifre altrettanto importanti si leggono nel prospetto dei nove mesi Nissan, e via di questo passo, fino ad aziende che con lo yen debole rimettono a posto conti altrimenti in rosso.

I sindacati chiedevano aumenti pari a 4000 yen, dopo sei anni di buste paghe ferme, oltre ai bonus. La Toyota ha concesso un aumento di 2700 yen l’equivalente di 26,20 dollari o circa 19 euro, il più alto mai dato negli ultimi 21 anni. La Nissan ha fatto di meglio, 3500 yen sempre più bonus. La Honda, terzo costruttore nazionale, si è fermata a 2200 yen, giustificandosi di essere nel pieno di una “ristrutturazione”.  In altri comprarti, la Hitachi e la Panasonic hanno aumentato i salari dei loro dipendenti di 2000 yen . Ma le società più piccole si sono fermate  lontano: la Daihatsu, per altro controllata da Toyota, ha messo 800 yen. Il governo ha fatto pressioni enormi soprattutto sulle grandi imprese, minacciando imprecisate ritorsioni a chi non avesse “cooperato”, ma è sicuro che queste si rifaranno a loro volta sui piccoli fornitori, strizzando i margini.

Che dire? E’ una cosa importante, anche se Abe contemporaneamente e sempre dall’1 aprile ha aumentato del 3% l’equivalente dell’Iva. Una tassazione che si mangerà parte degli aumenti salariali. Ma in America l’amministrazione Obama ha fatto il salario minimo, da noi Renzi ci sta provando con gli 85 euro in più al mese. Più salario contro la crisi, è l’unica ricetta che può funzionare.

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